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Io scrivo. Giorgio Faletti e il poliziesco

| In un intervista esclusiva di Nicoletta Vallorani Faletti analizza il successo del suo best seller " Io uccido".

di Nicoletta Vallorani

Comico, cantautore, uomo di spettacolo e di televisione, Giorgio Faletti oggi è un caso letterario, e neanche lui se lo sarebbe mai aspettato. È il sogno di tutti, naturalmente: scrivere un libro, finire nel giro di una settimana in testa alle classifiche, e restarci. C'è una ricetta? O è solo questione di talento?

Nei sogni, dice Faletti, non bisogna avere limiti, perché quelli uno li ha già nel mondo reale. Questa frase una specie di refrain che torna a intermittenza mentre lo intervisto, affiancata da Tecla Dozio, che peraltro mi ha aiutata a organizzare l'incontro. È un personaggio particolare, Tecla Dozio, libraia fondatrice e direttrice della Sherlockiana (la libreria del giallo di Milano, cioè un bene pubblico che andrebbe protetto), ma soprattutto grande esperta di giallo italiano e non, e punto di riferimento dei maggiori giallisti in circolazione.
Io ho imparato molto da lei, ma credo che la stessa cosa direbbero Lucarelli, Fois, Rigosi, e parecchi altri. Di Faletti, invece, tutti sappiamo già parecchio. Sappiamo cioè del suo passato televisivo, del suo successo come cantautore ("Signor tenente", oltre vincere un festival di Sanremo nel 1994, è diventata una sorta di icona sonora del malpensiero, quello controcorrente e vicino a chi non sa di poesia, ma di vita reale, non troppo comoda né facile da raccontare), e adesso scopriamo che ha scritto un giallo ambientato a Montecarlo, con un curioso investigatore DJ, una ragnatela complicata ma perfettamente incastrata di eventi e una galleria di personaggi che in parecchie occasioni convincono, in tutte divertono e appassionano. I critici più esaltati lo hanno definito come uno dei migliori scrittori italiani del momento (Dorrico sul Corriere della sera, mi pare), quelli più scettici ne hanno fatto l'icona di una narrativa nazionalpopolare in cui - come cita Faletti stesso -  il primo che arriva si può mettere a fare un romanzo. La verità - o la vera dimensione dello scrittore - come al solito sta in mezzo.

Ti definiresti uno scrittore, un artigiano della scrittura o cos'altro?
"Non sono Hemingway e non voglio spacciarmi per grande letterato. Io scrivo romanzi e si tratta di polizieschi, perché sono le storie che mi piace leggere. L'unica pretesa che ho è che il mio lettore si diverta: legga una pagina, poi gli venga voglia di leggere la seconda, e la terza, e poi avanti così. Non pretendo di salvare il mondo e quello che scrivo non è un ripiego necessario perché devo mangiare, ma in realtà mi sento chiamato ad altri destini. A me piace quello che scrivo. Ci riconosco dentro la traccia delle cose che ho letto e che ho amato di più. Zorro, Tarzan, Mowgli, Marlow… certe vicende non si finisce mai di riscriverle. Mi mancavano quelle belle storie ben raccontate ma popolari…dopotutto anche Dumas ai suoi tempi era un fumettaro. Perciò ho preso quello che mi piaceva e l'ho messo dentro il mio romanzo".

Non ci sono ridondanze, dice Tecla Dozio, in questa operazione di citazione. È vero che Faletti ha messo dentro Io uccido tutti i suoi amori, ma è anche vero che tout se tient, come dicono i francesi. Non ci sono scollature. 

E' vero che il titolo del tuo romanzo  è una citazione di Spillane?
"in realtà, il romanzo di  Spillane in inglese si chiamava I the Jury. Poi in italiano l'hanno tradotto Ti ucciderò. Comunque non è che mi dispiaccia essere affiancato  Spillane".

Nelle categorie letterarie di Tecla Dozio - come di parecchi appassionati del poliziesco - Spillane occupa in effetti un posto di privilegiato. Per Faletti è stato uno dei primi scrittori che ha letto, accanto a parecchi americani anche di anni più recenti: Jeffrey Deaver, per esempio, che in più occasioni  ha avuto per Faletti - lo scrittore e la persona - parole di grande stima e simpatia.  In effetti il modello americano è molto presente in Io uccido. E con piena consapevolezza.

Per me un serial killer che si aggira per Frosinone e che si chiama Luigino non ha molto fascino. Non è un bel criminalone. D'accordo, qualcuno ci riesce a costruire dei serial killer italiani. Prendi Almost Blue, per esempio: quando ho letto Lucarelli gli sono andato dietro, nel senso che forse a livello di atmosfere soprattutto qualcosa di simile c'è.

Molti tuoi estimatori sostengono - credo a ragione - che la tua vera forza è nell'essere onnivoro ed eclettico, nei talenti professionali e nelle letture. Ti pare un'idea condivisibile?
"Quando scrivo, mi documento, leggo cose che mi possono servire, ma anche tanta altra bella letteratura da spiaggia, libri dei miei amici comici e altre cose del genere. Dopo tutto, ho fatto il comico per anni, e un po' di quel mestiere deve essere passato nella scrittura. La costruzione dei personaggi, per esempio: sia nel mestiere di comico che in quello di scrittore, posso dire che il processo non è ragionato ma istintivo, e anche che i collegamenti tra le figure inventate e le persone che incontro tutti i giorni nella vita reale sono molto forti, anche se non diretti. Quando fai il comico, esageri alcuni tratti per costruire una caricatura, nel romanzo devi a stare attento  a evitare questa cosa. È dura per uno che ha fatto il comico, perché ragiona sempre in termini di come tirar fuori la battuta che farà ridere tutti, mentre comunica delle cose. Nel mondo dello spettacolo la comunicazione è diretta e il feedback immediato".

La sensazione di Tecla e mia è che il punto, nel successo di Faletti, sia esattamente questo: la capacità di comunicare. Uno che è sempre stato attento ai processi di comunicazione - cioè a trovare un modo per essere ascoltato e per divertire - fa venir  fuori questa esperienza anche quando scrive. C'è un'attenzione per il pubblico che forse, in tanta Letteratura italiana non è così consueta.  

Quando sei arrivato alla fine del romanzo, cosa te ne pareva? Voglio dire, è pur sempre un'opera prima... credi ci fossero aspetti da perfezionare o tagli da fare o... 
"Sono andato a fare l'editing  che mi tremavano le gambe. La persona che se ne occupa da Baldini e Castoldi è temutissima, e passa per un fustigatore terribile. Quando sono uscito dal suo ufficio dicendo tutto mogio che mi aveva chiesto di tagliare una decina di cartelle mi hanno fatto le congratulazioni. Suppongo che sia stato un successo, e io comunque penso che quelle cose andassero effettivamente tagliate. Antonio Ricci mi ha fatto una critica e un elogio sperticato quando ha letto Io uccido. Mi ha detto: io nonostante il fatto che sia una cosa che con te non c'entra niente ti riconosco in quello che ho letto. Ho riconosciuto anche tutti i punti in cui  ti sei morso le dita per non metterci dentro una battuta".

Tecla Dozio sorride divertita e aggiunge che anche lei all'inizio aveva avuto l'impressione che ci fosse qualcosa da tagliare, ma adesso più ci pensa e meno sa cosa togliere. Le matrici sono da romanzo americano, e sono molto diverse. Ci sono almeno tre storie principali che si intrecciano e si ha l'impressione che almeno una di queste possa essere eliminata. Poi se si prende carta e penna e si prova a farlo, ci si rende conto che i legami sono talmente forti e intrecciati che non è possibile farlo. La costruzione non solo tiene, ma è così 'intrecciata' da non consentire modifiche o tagli importanti.

Come lavora Faletti? Costruisce una scaletta? Scrive un capitolo per volta seguendo un preciso progetto?
"se tu fossi stata qui mentre scrivevo ti saresti resa conto che è stato un delirio. Ho scritto tutto saltando qua e là da un punto all'altro della storia, senza scaletta e lavorando dove mi pareva quando ne avevo voglia. Ho quest'idea che uno deve lasciarsi guidare dall'istinto, altrimenti diventa una storia ragionata che uno non riesce a scrivere. Letteratura da spiaggia, o forse da treno".

Forse, suggerisce Tecla Dozio, bisognerebbe tornare alla vecchia definizione di letteratura di massa. Negli anni '60, il Giallo Mondadori tirava 500.000 copie, e le vendeva. Quella era letteratura di massa, come la televisione e il cinema.

E a proposito di cinema…
"sì, è il mio sogno vedere questa cosa sul grande schermo. Ci sono alcune offerte e alcuni progetti, ma per ora, scaramanticamente, non diciamo nulla. Nella mia testa, ho già fatto un casting che comprende il meglio del meglio: nei sogni, bisogna farlo in grande, no? Altrimenti, che sogno è?"

E il prossimo sogno allora? Quello da scrivere, intendo: a cosa sta lavorando adesso il Faletti scrittore?
"È la storia di una donna, sempre un poliziesco, con ambientazione tra Roma e New York. Lo so, non è facilissimo per un uomo mettersi nei panni di una donna. C'è una battuta fulminante di Steve Martin che rende esattamente il senso della difficoltà: non potrei mai essere una donna: passerei tutto il giorno a toccarmi le tette. Io però un po' di esperienza ce l'ho: ho scritto canzoni per diverse cantanti, e il mio punto di vista femminile ha funzionato. E come la storia che dicono secondo cui come scrittore sono improvvisato. Ho fatto vent'anni di televisione come autore e come comico, ho composto canzoni e con una ho vinto il festival di Sanremo. Ho scritto testi per un sacco di gente, quindi, forse, come scrittore tanto improvvisato non sono". 

In realtà, Faletti non usa tanto il termine "scrittore". Non se ne accorge, ma quasi sempre lo sostituisce con quello di "autore", che è la definizione tecnica per chi scrive testi per la TV. Buon sangue non mente, come si dice: e che sia sangue di una persona che ha da scrivere non ci sono dubbi.
L'ultima domanda la lascio a Tecla Dozio:

Oggi, preferiresti essere  invitato in una trasmissione importante in qualità di scrittore o in qualità di comico?
"In questo momento quello che potevo avere come comico l'ho avuto. Quando crei un personaggio come Vito Catozzo comunque lasci un segno nella storia della televisione, e deve bastarti. Come scrittore sono più fresco, più stimolato. E poi scrivere ti dà una clamorosa possibilità che il mestiere di comico non ti dà: lo puoi fare dove ti pare. Non sono mai stato un fanatico dello sfruttamento delle situazioni. Anche quando fare televisione significava fare tanti soldi, se ero stanco ho fatto vacanza. In questo momento quello che mi interessa nella vita ce l'ho:  voglio solo mantenerlo. A cinquatadue anni, quando hai proprio tanti soldi che ne fai? Finiscono prima lui di te. Chissà, magari finisce che vado a vivere all'isola d'Elba e scrivo romanzi per vivere. È una possibilità allettante, adesso".

E per chi non lo sarebbe?

06/03/2003





        
  



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