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Ci sarà il provvedimento di clemenza chiesto dal Papa?

| Incertezze da più prospettive sul decreto che comunque non svuoterà le carceri e su cui il dibattito politico è trasversale

di Ettore Picardi

Nel nostro Paese l'uso di provvedimenti generalizzati di clemenza è stato estremamente largo e frequente, per vari e disparati motivi. In realtà coincidono e concorrono più interessi alla loro adozione. La magistratura acconsente per poter eliminare milioni di procedimenti arretrati. L'avvocatura è felice di usufruire di uno strumento rapido e certo per la difesa dei propri assistiti. Il ceto politico è ben lieto di dare prova di clemenza ad un  numero di cittadini (abbastanza significativo) in difficoltà per aver violato una qualche norma penale.

Attualmente siamo ad oltre dodici anni dagli ultimi provvedimenti di amnistia ed indulto, uno spazio di tempo storicamente piuttosto lungo per i precedenti in materia del nostro ordinamento. Peraltro non appaiono cambiate le tendenze politiche e giudiziarie. Infatti sono continue e diffuse le proposte e le spinte all'adozione di nuovi provvedimenti di clemenza. Se in questi anni non è accaduto nulla è per contingenze particolari degli ultimi tempi.
Prima v'è stata la stagione di "mani pulite" in cui l'opinione pubblica era fortemente contraria a forme di decreti che avrebbero avuto il sapore di un "colpo di spugna" a vantaggio di corrotti e corruttori. Tramontato quel periodo e pur essendo cambiato il vento, il Parlamento è stato bloccato da divisioni ed incertezze persino di fronte al  noto ed autorevole intervento del Pontefice durante la sua visita di qualche mese fa alle Camere.

Soprattutto si può agevolmente riscontrare dalla lettura delle cronache politiche una divisione trasversale nelle forze politiche. Da un lato intransigenti fautori del carcere, dall'altro accomodanti fautori del "perdonismo". Da un lato i tutori ad oltranza dell'ordine e della sicurezza pubblica, dall'altro i propugnatori della riabilitazione, preoccupati anche del sovraffollamento carcerario.
Le ultime notizie danno per probabile il cosiddetto "indultino", che peraltro pare potenzialmente destinato a scontentare tutti. Infatti questa misura estingue la pena e non il reato, quindi costringe egualmente il sistema giudiziario a celebrare tutti i processi, non alleviandolo di alcun carico di lavoro: anzi l'applicazione del beneficio ai vecchi condannati comporterebbe una nuova attività nella fase di esecuzione della pena.

Inoltre l'"indultino" sarebbe stato congegnato in una forma piuttosto limitata, come suggerisce lo stesso nomignolo affibiatogli. Quindi sarebbero egualmente perplessi "falchi" e "colombe", ed ancor di più gli operatori del settore che non avrebbero alcun beneficio pratico dal provvedimento, anzi un serio aggravio funzionale.
Il mio suggerimento e la mia speranza è che si arrivi ad un sistema giudiziario abitualmente equilibrato. Pene proporzionate ai fatti, ma anche molte sanzioni alternative al carcere, purchè vi sia certezza che quanto comminato da giudice sia effettivamente scontato dal condannato. Tutto questo in un contesto carcerario struttralmente e culturalmente adeguato.

Chi, come lo scrivente, opera nel settore sa bene che non ci vorrebbe molto per rendere il sistema penale equilibrato, utile e stabile. Purchè si comprenda che i problemi della giustizia in Italia più che ideologici o politici, sono soprattutto pratici. E terribilmente concreti. Ovvero il sistema politico-legislativo dovrebbe fissare degli obiettivi chiari e realizzare un'adeguata organizzazione che consenta ai giudici ed ai pubblici ministri di raggiungerli, nel rispetto della loro indipendenza di giudizio.

03/05/2003





        
  



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