Una festa, un dubbio
| Bagdad liberata dalle truppe americane, il popolo irakeno in festa.
di Giovanni Desideri
Nel pomeriggio del 9 aprile 2003 qualcuno può avere avuto l'impressione che l'attesa si fosse compiuta, naturalmente in diretta televisiva: l'attesa messianica creata dall'11 settembre, secondo la quale 'occorreva fare qualcosa'. Ora qualcosa è stato fatto e belle e festose immagini di liberazione sembrano aver lavato via lo sporco della guerra, sublimate nell'assalto alla statua del dittatore, ex, tirata giù come da copione in situazioni consimili e come si vede, in immagini, già nell''Ottobre' di Eisenstein (1928). Un dittatore di meno, un popolo libero in più. Secondo alcune fonti non c'era un legame tra il regime di Saddam Hussein e il terrorismo di Bin Laden; persino il 'Dibattito', secreto 24 ore al giorno dalle televisioni italiane senza soste durante i bombardamenti, aveva visto persone autorevoli ed influenti come Luttwak o Kagan affermare che nessun'altra ragione c'era per la guerra, se non di tipo strategico, geopolitica.
E non è poco, se a questa potrebbero seguire altre guerre ugualmente strategiche e ugualmente necessarie nell'ottica della guerra preventiva. Come dire che non la mistica della 'Liberazione', ma la strategia di un nuovo equilibrio mondiale è stata causa di questa guerra e che interessi, ideali e mezzi per imporli saranno da oggi un unicum, voluto da noi occidentali qua o là nel mondo. Nessuno potrà non volere questo unicum. I fini e i mezzi indistinti.
Nel periodo che ha preceduto la guerra e durante il suo svolgimento la maggiore visibilità l'hanno avuta coloro che hanno manifestato per la pace nel mondo intero. Tentavano di dissuadere il presidente Bush dal provocare morti e sofferenze. Oggi queste persone sono meno visibili o nell'angolo, perché la liberazione c'è stata. Chi vince ha ragione.
Ma non resta ancora adesso e come prima un dubbio? Il dubbio manifestato l'altro ieri sera dalla Ventura (Simona, showgirl): "quei mezzi (la guerra) andavano bene nel '45, durante la seconda guerra mondiale, ma non più oggi". Questo è il punto, a prescindere dal diritto di alcuni di esportare la democrazia. Discutiamo almeno i mezzi, ritenendo qui che la forma sia sostanza: erano necessarie due guerre e dodici anni di embargo? Centinaia di migliaia di morti? La più grande potenza della storia non aveva altra strada?
Poche ore prima della liberazione di Bagdad Giuliano Amato aveva detto: "ci siamo ritrovati davanti ad un'America che si affida a quella che noi europei abbiamo abbandonato da un secolo, e cioè la 'macht-politik', che oggi premia gli Stati Uniti, domani potrebbe premiare la Cina". Per non voler abbandonare oggi il mezzo della guerra come soluzione dei problemi del mondo potremmo trovarci a fare i conti, domani, con le guerre preventive degli altri.
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10/04/2003
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