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I traguardi e le speranze per il ‘Premio Libero Bizzarri'.

San Benedetto del Tronto | Intervista con Italo Moscati, direttore artistico del festival del documentario.

di Giovanni Desideri

Italo Moscati è direttore artistico del festival del documentario 'premio Libero Bizzarri' dal 1997, ma già dal 1994 era membro del comitato scientifico e della giuria. Il successo crescente di questa manifestazione e il traguardo del decennale, dunque, sono anche merito suo. Moscati conosce bene le passate edizioni del festival, la sua cineteca, l'importanza e le motivazioni di un'iniziativa siffatta, all'interno del panorama nazionale: "tanti festival dedicati al documentario sono sorti dopo questo, per esempio la sezione dedicata ai corti, medi e lungometraggi nell'ambito del Torino Film Festival".

Il premio Bizzarri sembra ormai una scommessa vinta.
È vero, ma ricordo bene gli inizi, la strada in salita, la decisione coraggiosa di ridare lustro ad un genere dismesso e ingiustamente caduto in disgrazia presso artisti e produttori. Il mondo del cinema rifiutava ormai il genere. La qualità di certi filmati che passavano nelle sale era infima, il sistema di finanziamento era in rovina. Aggiungi la televisione, che ha fagocitato il documentario, portandolo ad essere soltanto reportage ed inchiesta, genere pure dignitosissimo, ma altra cosa rispetto al documentario stesso.

Un grado zero?
Eravamo in una strettoia. C'era da ripensare il genere documentario, cioè la formula del racconto senza attori e con fatti e personaggi concreti, non inventati. A poco a poco ce l'abbiamo fatta e oggi siamo riusciti a coinvolgere nuovi soggetti nella nostra impresa. Per esempio i canali satellitari e tra questi, in particolar modo, Tele+, che ha finanziato diversi progetti. Ma anche altri produttori hanno ripreso in considerazione questo genere dalla tradizione così gloriosa: vorrei ricordare che il documentario ha rappresentato la scuola di cinema per autori come Antonioni, Comencini, Dino Risi e altri.

Orgogliosi del lavoro fatto ma ancora soli a portarlo avanti?
Non vorrei autocompiacermi, almeno non eccessivamente. Diciamo che con questo festival, che era unico nel suo genere quando è stato istituito dieci anni fa, abbiamo almeno contribuito ad una rinascita dell'interesse intorno al documentario. Solo quest'anno, per fare un esempio, abbiamo ricevuto 400 film, di tutti i tipi. Tra questi ne abbiamo selezionati una trentina per il concorso vero e proprio. Ma la cineteca del festival dispone ormai di oltre 5000 titoli, che sono un numero davvero considerevole.

Qual è stata la vostra strategia?
Il nostro lavoro è stato umile, paziente, artigianale. Abbiamo cercato di informare del festival quante più persone possibile, ricevendo per questo consenso e molta partecipazione.

Le prospettive per il futuro?
In questo momento la cultura italiana in generale vive una fase di grandi e crescenti ristrettezze. Alla cultura vengono riservati sempre meno fondi pubblici, motivo per il quale anche noi abbiamo bisogno di reperire finanziamenti da altri canali. Ci auguriamo naturalmente che possa continuare il dialogo con le istituzioni che ci sostengono e nonostante le difficoltà non vorremmo lamentarci. Crediamo infatti di avere un progetto molto valido e un buon metodo di lavoro per realizzarlo. Il compito è quello di ridare al documentario il prestigio che gli era proprio in passato. Essere all'altezza di questo compito è la nostra sfida.

16/07/2003





        
  



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