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Miniantologica di opere su carta e di carta dal 1976 al 2003 di Gianni Ottaviani

| MILANO - Un percorso di frammentazioni, incisioni, disegni e rielaborazioni eseguite anche su carta speciale fatta dall'artista.

di Ermanno Arslan*

Gianni Ottaviani mi è sempre apparso come un artista di non facile approccio, che richiede, per una completa lettura delle sue opere, una comprensione profonda delle sue ragioni, una conoscenza della sua storia.
Ricerca che diviene sempre, per lui come per noi, profondamente coinvolgente e totalizzante, tesa impietosamente a sempre tutto conoscere e a tutto discutere e ridiscutere.

Per pochi artisti appare così utile, praticamente indispensabile, ricostruire l'iter seguito nel tempo, non tanto nella costruzione del proprio discorso, quanto nella sua progressiva motivazione, nel cercarne le linee essenziali nei livelli più profondi della propria esistenza e della propria esperienza.        
Ogni opera, fin dai primi anni, rimette tutto in discussione.
Ogni opera, nel suo farsi, rischia di distruggere se stessa e di scardinare le stesse motivazioni dell'autore, magari allontanandolo dalla creazione, se ciò è necessario per meglio capire, per meglio amalgamare con le proprie ragioni profonde il proprio linguaggio.

Un simile atteggiamento non poteva fermarsi agli aspetti puramente formali del linguaggio della creazione artistica.
Doveva  pericolosamente rivolgersi all'esterno, a tutto ciò che ci circonda, che ci precede, che ci condiziona, che ci giustifica nel mondo.
Così Ottaviani, in lunghi anni, quelli che potevano essere centrali per la produzione di un'artista già obiettivamente maturo, ha rinunciato invece ad esprimersi  come tale in termini continuativi, ha rimesso ogni cosa in forse e in dubbio, si è avventurato alla ricerca delle radici del proprio mondo, della propria cultura.

In ciò ha riproposto e ricostruito il proprio linguaggio, si è appropriato di nuovi materiali, del tempo e dello spazio.
Il repertorio di immagini, sulle quali Ottaviani è ritornato con accanimento negli anni, è stato proprio in termini sempre più rarefatti, con figure isolate, essenziali, sempre più dolorosamente solitarie.
Le figure quindi, come in alcune opere significative molto recenti di Ottaviani, senza modificarsi si sono frammentate e si sono proposte in termini quasi di relitto.

L'artista, con dolore e con smarrimento, ha riconosciuto le motivazioni del proprio essere, e quindi la propria vita, in una realtà terragnana, quasi stratificazione archeologica, con la successione e l'obliterazione dei segni della propria storia, come la terra nasconde e rivela a brandelli la propria.
L'artista sapeva di essere la somma delle proprie storie, così come la terra è la somma delle storie degli uomini che hanno vissuto nel passato e porta i segni slabbrati delle culture che si sono succedute nel tempo.

Da questo doloroso dovere è derivato forse l'interesse di Ottaviani per l'archeologia, per la stratigrafia, non per quanto trasmette di informazione e di certezze, ma per quanto al contrario lascia di incompleto, di perduto, di incomprensibile per sempre, come una lingua perduta, di cui restano i segni o i suoni.
E non il senso.
Come i suoi oggetti e le sue figure, egli si sente naufrago, e accetta quindi tutti i materiali e gli oggetti, frammenti e testimoni di esistenze e di tragedie.
Anche di quelle dello spettatore, che viene così coinvolto emotivamente, che capisce di essere parte della vicenda.

Capisce che è di lui che si parla.
L'arte di Ottaviani è certamente pessimista, sembrerebbe quasi, nella sua dolorosa costruzione, mirare talvolta alla propria autodistruzione.
Accetta il rischio della solitudine, del buio, del nulla.
La sua espressione artistica in questo dramma ci appare  raggiunga i vertici della sofferenza profonda ma anche della necessità di divenire opera d'arte concreta.

Rivisitato globalmente il percorso artistico di Ottaviani appare così spingersi, con sempre maggiori rischi, verso la levità, i silenzi, i vuoti, le sospensioni, le rinunce.
Ma sempre mostra di aver saputo trovare segni, parole, allusioni essenziali per sostenere la nostra, e la sua, fatica di vivere.

*Direttore Civiche Raccolte d'Arte Castello Sforzesco Milano

17/10/2003





        
  



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