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Ritorno in Angola grazie all’8 per 1000

San Benedetto del Tronto | Il 13 luglio 2004 la Caritas Diocesana parte per l’Angola per la terza volta in meno di due anni. La prima volta fu all’inizio del 2003, ad un anno dalla proclamazione della tanto attesa pace.

Lo Statuto della Caritas pone l’EDUCAZIONE ALLA MONDIALITA’ come priorità all’apertura alle realtà mondiali, soprattutto a quelle povertà che il mondo dei mass-media non focalizza, pertanto la Caritas Diocesana si deve lasciar interpellare per un coinvolgimento alla solidarietà. Attraverso la presenza di angolani a San Benedetto del Tronto, abbiamo ascoltato il “grido” di quel popolo, partendo dalle urgenze emerse contattando la piccola città di Uiģe nel nord Angola.
 
Il 13 luglio 2004 la Caritas Diocesana parte per l’Angola per la terza volta in meno di due anni. La prima volta fu all’inizio del 2003, ad un anno dalla proclamazione della tanto attesa pace. L’incontro con la realtà del dopoguerra fu traumatico: mancanza di acqua, di luce, strade e campi minati, campagne senza coltivazioni, famiglie sperdute nell’interno arido, case distrutte, zone intere popolate di sfollati senza lavoro, in minuscole casette di terra seccata, con un sacco di fagioli e un sacco di riso per vivere un mese, passati dall’assistenza governativa.
 
Al nostro rientro in Diocesi abbiamo dato priorità a quella situazione. E’ diventato urgenza aiutarli al più presto, sia con la raccolta quaresimale di solidarietà della Caritas, sia con altre piccole iniziative, come ad esempio “la bancarella Caritas”, che da mesi è presente nelle manifestazioni diocesane, feste di patroni, con la collaborazione fedele di volontarie. Alcune scolaresche hanno dato il frutto di loro lavori. Tante persone sconosciute hanno mandato la loro offerta, piccola o grande che fosse. Approfittiamo per dire a ciascuno: “grazie, hai accolto nel tuo cuore la vita di un fratello”.
 
Tutta la Diocesi si è lasciata coinvolgere ed ha risposto in modo encomiabile: 20.000 euro, raccolti nel giro di poche settimane. La cifra è stata consegnata lo scorso luglio direttamente nelle mani del Vescovo locale, che ha provveduto alle prime emergenze, soprattutto a sostegno dei bambini tacciati di stregoneria (fetiçeiros), che egli ha salvato dalla morte, portandoli via dai loro villaggi.
 
Emergeva urgente nella zona, molto esposta alla malattia del sonno, la necessità di fare un piccolo nuovo ospedale di circa 40 posti letto, per le persone di tutte le età, colpite da questa malattia causata dalla puntura della mosca tzètzè. Il sogno di Monsignor Francisco de Mata Morisca, Vescovo della Diocesi di Uiģè, che vedeva morire o impazzire tante persone giovani e bambini, diventa subito il “segno” della nostra prossimità: “Ho pregato molto Dio perché soccorra il suo popolo e voi siete il segno della Sua risposta. Grazie alla Caritas e a tutta la Diocesi”.
 
Coscienti che l’impegno preso era molto gravoso, non ci siamo scoraggiati, ma abbiamo affidato al Signore un progetto-preghiera. Tramite l’interessamento del nostro Vescovo, Mons. Gervasio Gestori, molto sensibile alle problematiche del Sud del mondo, siamo riusciti, dopo un certo tempo, a far approvare il progetto. Esso inizierà a breve, con i soldi dell’8%o che la Chiesa gestisce e che ora noi stessi portiamo a destinazione.
 
Il progetto prevede interventi per tre anni. L’opera muraria sarà realizzata nel rispetto degli usi locali, cioè a due soli piani, nella cittadina di Négage, a Nord-Est di Uiģè. Oltre ai 40 letti per le degenze in attesa degli esiti dei primi esami medici, ci sarà, come inizio di un percorso di interventi, un Poliambulatorio provvisto di apparecchiature semplici, facilmente gestibili in un ambiente senza strutture tecnicamente elevate, ma sufficienti. I pazienti accolti avranno controlli periodici, test di accertamento, i cicli di cura che la malattia richiede; resteranno in osservazione in ospedale i giorni necessari ai controlli, agli esami, poi saranno rimandati a casa a proseguire la cura aiutati dalla famiglia.
 
Diminuiranno così i casi di quei pazienti che oggi arrivano in ospedale al terzo stadio della malattia, il peggiore, che rende la persona scardinata dalle sue memorie, scoordinata, dimentica degli affetti, quasi non sapesse più chi è e chi era, incapace di gestirsi o di essere di aiuto alla famiglia. Spesso si arriva troppo tardi, quando le loro facoltà motorie e intellettive sono debilitate per sempre.
 
Per questo il progetto prevede anche un biennio di formazione professionale per infermieri, per poter creare delle èquipes di analisti ed infermieri che passeranno a setaccio la zona, con strumentazioni adatte ad individuare la presenza di quelle mosche nocive,.terranno cicli di incontri di informazione e formazione per le donne dei vari villaggi, affinché tutti sappiano riconoscere i primi sintomi della malattia che sono confondibili con quelli della più nota e diffusa malaria.

13/07/2004





        
  



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