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La scoperta della comunicazione continua

San Benedetto del Tronto | Creatività e sorprese nello slang della rete

di Tonino Armata

Il linguaggio che nasce dall'utilizzo della scrittura elettronica è più rapido, giovane e veloce, e si presta ad essere utilizzato da più persone che parlano contemporaneamente. "Non odiare i media, diventa i media". Questa nota espressione, ormai un efficace slogan nella galassia dei media-attivisti, sintetizza in qualche modo un cambiamento epocale nella percezione generale delle tecnologie della comunicazione e della conoscenza.

Tanto che, parafrasando quella stessa asserzione, si potrebbe declinare un suo corollario: non riflettere sui media, usa i media. In effetti, superata la fatidica soglia del terzo millennio, sembra ormai tramontato l'atteggiamento pensoso, incline alla filosofia dell'avvenire, di coloro i quali guardano con stupore all'impatto delle tecnologie sulla nostra vita, cioè sul nostro linguaggio in genere. Gli anni '90 sono passati da un pezzo e oggi è forse realistico continuare a stupirsi: perché i nuovi media non hanno semplicemente cambiato il nostro linguaggio, ormai essi sono il nostro linguaggio.

Da un paio d'anni è disponibile la traduzione italiana di un libro celebre: Il linguaggio dei nuovi media di Lev Manovich. Si tratta di uno studio sistematico sull'estetica dei nuovi media, il quale mette in risalto la creatività insita nel linguaggio da essi veicolato, a tutti i livelli. Del resto, il multiforme stile sincopato degli slang della Rete è da tempo sotto il microscopio. E' già ampiamente studiato, per esempio, come e-mail, sms e chat-line abbiano inventato, attraverso un incessante contaminazione tra lingua parlata e scritta, un idioma meticcio, sempre più anglofilo, in cui trovano spazio sempre nuovi vocaboli, nonché alfabeti in grado di esprimere l'elemento emotivo: come le cosiddette emoti-con, cioè le faccine ottenute con i segni d'interpunzione.

Linguisti e semiologi, hanno pacatamente abbordato il fenomeno: nessun'apocalisse, ci hanno spiegato, la lingua muta a seconda dei contesti in cui è parlata, il che non esclude la convivenza di strati e livelli differenti. Ugualmente, si è ormai abbondantemente consolidato il fenomeno delle home page personali e dei blog.

E' dunque poco probabile, oggi, guardare queste tecnologie attraverso gli occhi, pur acutissimi, del grande padre degli studi sulla comunicazione di massa, Marshall McLuhan; come pure è un poco astratto continuare a disquisire sulla differenza tra "intelligenza collettiva" e "intelligenza connettiva", secondo le categorie usate da due altri celebri studiosi, Pierre Levy e Derick De Kerckhove. Informatici e programmatori sembrano aver ormai conquistato sui media philosophers, i professori che guardano le cose dall'esterno. Perché il cuore pulsante dell'integrazione antropologica delle tecnologie è assai più legato alle molte pratiche, ai molti soggetti e alle tribù urbane che stanno declinando i media, attraverso il loro uso pragmatico e imprevedibile.

Sembra qui emergere prepotentemente tutto il ruolo dell'intelligenza operativa: dove le tecnologie, ormai a pieno titolo delle "psico-tecnologie", divengono un ambiente del tutto assimilato, da sondare in base agli effetti specifici che producono. Proprio i blog, per esempio, hanno rilanciato il tema della libera informazione, proponendo un'ulteriore prospettiva da cui analizzare le implicazione politiche della rete. Howard Rheingold ha recentemente parlato di "smart mobs" (titolo di un bel libro tradotto in italiano), cioè le moltitudini intelligenti che, grazie a Internet, si organizzano in gruppi di pressione, rafforzando il potere dell'opinione pubblica e cambiando i linguaggi della politica. Lo si è visto con l'efficace opposizione verso il decreto Urbani sulla pirateria. E' il caso di citare un altro recente libro, Pop War, che appunto evita ogni divagazione filosofica, concentrandosi sulle questioni concrete che si stanno aprendo: prima fra tutte quella giuridica del copyright.

Se a indagare la tecnologia è lo stesso suo uso, le relative pratiche linguistiche diventano un ottimo punto d'osservazione: non si può evitare di notare, dunque, come un panorama pregnante e ricco di sfumature sia offerto dalla rivoluzione che ha animato nell'ultimo decennio il linguaggio giornalistico, nell'era dell'online. Gli studi di settore abbondano. Ma l'apertura linguistica dei media raggiunge il suo punto di esaltazione proprio nell'universo variegato della comunità dei programmatori, dove le frontiere tra scienza e arte si fanno fluttuanti.

Mettendo le mani ormai sulle matrici che costituiscono la struttura neurale delle intelligenze elettroniche, i virtuosi dell'hi-thec dischiudono spazi di creatività estrema: dove non è più questione di linguaggi, ma di meta-linguaggi. Molto utile è il libro Net.art - l'arte della connessione dove emerge tutta la centralità di un genere ormai riconosciuto, dal nome eloquente di "software art", l'arte di creare inediti mondi connessi, attraverso l'invenzione di dispositivi software. Come dire: oggi Dante si laureerebbe in ingegneria.

05/07/2004





        
  



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