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Olimpia e noi

| I Giochi olimpici sono calati a ravvivare questa torpida ed ansiosa estate...

di emme

...una grande occasione di riscatto dello spirito sportivo a fronte della becera ripetitività milionaria, tutta piedi e niente testa, del calcio nostrano ed altrui. Il dilettantismo, che dovrebbe essere la condizione delle gare olimpiche, è una boccata di aria d’alta montagna per i nostri inquinatissimi polmoni, anche se quei 50 o 300 mila  Euro promessi a questo o quel vincitore , se espresso da una Federazione “ ricca”, sembrano fuor di misura. Sarà per questo che c’erano tanti vuoti nelle gradinate durante l’inaugurazione e troppi Greci hanno preferito la gita al mare lasciando circa due milioni di tagliandi  per ora invenduti.

Vero è che, anche nell’antica Grecia ( che  non si chiamava Grecia e solo tardi si darà il nome di Ellade), il vincitore di uno dei  4 “ giochi panellenici” ( Olimpia, Nemea, Corinto, Delfi) aveva il suo tornaconto poiché spesso veniva mantenuto dalla Città-Stato alla quale apparteneva e che aveva rappresentato. Ma si trattava di un cubicolo per dormire e di una infame pappetta a pranzo e cena ( fichi secchi nelle festività) e nulla più.

Certo che, con l’occasione del ritorno delle gare in Grecia o come diavolo si chiamava quel Paese tremila anni fa ( non lo sapeva nemmeno Omero che i ‘Greci’ li chiama a volte Achei o Argivi, altre Teucri o Danai), si son dette e scritte  stupidaggini a non finire anche se il telecronista è persona particolarmente competente, esperto di giochi di un reality show.

 Durante la cerimonia di apertura ( i cui aspetti da fiera paesana vanno perdonati per la passione e l’orgoglio trasmessi dai Greci a tutto il mondo), si son sentite cose da far bocciare un ragazzino di terza elementare. Nell’ordine e salvo omissioni  : a) che l’ultima Olimpiade si svolse nel 323 Avanti( sic!) Cristo; b) (dopo qualche minuto) che si svolse nel 329  Avanti .C.; c) che da quest’ultima data decorre la “civiltà” bizantina; d) che tutto andò a ramengo nel 1453 quando arrivarono i Turchi ( “mamma li Turchi!!”) e la Cristianità stette a guardare leccandosi i baffi;  e) che in Grecia ci passarono i minoici e poi  ( udite, udite!) i “ miceneisti” ( sic!); f) che uno Stadio corrispondeva a 200 metri.. Sciocchezze. Che cos’è, in fondo, un errore di circa 600 anni?

E se uno i Micenei li vuol chiamare “Miceneisti”, farà pure una figuraccia, ma nessuna legge ( purtroppo!) lo proibisce. E chi può dire che uno stadio, forse a causa della migliore alimentazione, non sia cresciuto dagli originali 178 circa metri, fino a toccare  i 200, misura autorevolmente adottata in tv?!  E che volete che sia, vista la cattivissima fama dei Turchi, attribuire a loro la morte violenta della “Grecità”, abilmente glissando sul fatto che fu nel 1204 ( 4° Crociata) che i “ Franchi” ( cioè Francesi, Veneziani, italiani in genere, oltre gli immancabili tedeschi) misero a ferro e fuoco Costantinopoli, vendettero schiava buona parte della popolazione, fecero a pezzi la veneranda, meravigliosa statua di Fidia raffigurante Athena Promakos, ultima ed illustre vestigia della gloria Ellenica, con la scusa che gli portava jella e gettava il malocchio sulle loro navi?-    Dopo di che i Greci la smisero di fare i Greci e si dedicarono alla vendita porta-a-porta di antichi manoscritti.

Certo, un sacerdote del tempio dell’effimero e della volgarità quale è un conduttore televisivo, non è tenuto a spiegare quel che veramente accadde. Però, si può sempre tacere. Tanto più che Maometto II il Conquistatore, al contrario dei Crociati di cui sopra, salvò i monumenti superstiti e si arrabbiò moltissimo, raccontano le cronache, perché un suo soldato stava scalpellando una preziosa lastra di marmo dal pavimento di Santa Sofia, che, infatti, sta ancora in piedi..

 Lasciamo perdere e parliamo dei “ Giochi” classici. Sorvoliamo sul fatto che è stato dichiarato squallido ed inadeguato, a fronte dell’opulenza della festa di Atene, lo Stadion di Olimpia con  il simbolico richiamo universale di  un solitario percussionista. Evidentemente nessun Solene televisivo si è reso conto che è uno dei luoghi più sacri ed intangibili dell’umanità. Malgrado una corretta inquadratura, nessuno ha ritenuto di informare  gli spettatori, come fanno in genere i cronisti servendo un pubblico avido di particolari, che il lungo gradino marmoreo con delle cavità sulla faccia verticale all’inizio della pista, era l’antico allineamento di quelli che  sono oggi i blocchi di partenza della corsa, con tanto di incavi per appoggiare il piede. Ovviamente, nemmeno una parola sul fatto che lo Stadio era un elemento di una vasta e complessa area sacra densa di luoghi di culto, meta di fedeli e pellegrini.

Prima di tutto- a differenza di quelli romani - non erano “giochi”, cioè non avevano nulla di ludico. Un illustre grecista come Pierre Léveque, che evidentemente non ne può più di questa storia, ha scritto: “ bisogna accuratamente evitare di parlare di giochi…” ( I Greci. Vol. II pg.1118 – Einaudi Ed.). A parte il fatto che i contemporanei li chiamavano “ agones”, cioè competizioni, quelle manifestazioni, probabilmente ereditate dai Minoici cretesi, che si suppone colonizzassero in parte il Peloponneso,( v. Barnal- ‘Atena Nera’, v.I t.I)  erano originariamente  manifestazioni sacre e riti di iniziazione della gioventù. Non è un caso che Olimpia, sulle pendici del Monte Cronion, sacro alla dea Terra, ospitasse, come si è detto, uno dei maggiori complessi cultuali della Grecia, culminante in una delle sette meraviglie, cioè la colossale statua crisoelefantina del tempio di Zeus, opera di Fidia.

Ad Olimpia, secondo alcuni studiosi, le cerimonie agonistiche antichissime che si svolgevano nello stadio consistevano in gare di fanciulle in onore di Era Parthenos, vale a dire Era Vergine , che vergine, appunto,  tornava ad essere dopo ogni amplesso con Zeus, grazie a quelle gare. Questi primitivi  agones  erano regolati sui ritmi di un anno lunare. (  però una commentatrice di provincia ha scritto che erano cose solo maschili - e una donna poteva assistere solo se travestita da uomo, aggiungo io…)

 Quando, in circostanze che non conosciamo, intorno al 2000 A.C., subentrò la componente maschile dedicando le gare al mitico eroe eponimo Pelope ( quello che, per sposare Ippodamia, fece svitare un perno delle ruote del carro da corsa del riluttante futuro suocero che si ruppe il collo e  la smise di opporsi alle nozze) , si cercò di conciliare l’anno lunare ( e femminile)  di 354 giorni con quello solare  ( e maschile) di 365 giorni e ¼.  Poiché i due cicli temporali coincidevano ogni quattro anni, le gare furono fissate ogni quadriennio. In base a tanto, forse convenzionalmente ed a posteriori,  la Prima Olimpiade si svolse, con la luna nuova,  il 22 Agosto dell’anno 776 a.C. in sullo scorcio della dark age ( ovvero i secoli bui fra la distruzione dei “Palazzi micenei “e la nascita della Polis).

Si gareggiava per vincere e conferire gloria alla propria città, oltreché per ridare simbolicamente il vigore della giovinezza a Pelope, così come prima si ridava la verginità ad Era offrendo la destrezza e la prestanza fisica quali preziose offerte                                                                      Vinceva l’atleta che aveva trionfato in  almeno tre gare cimentandosi nelle cinque  del  pentatlon classico. Poiché importante era vincere, non già il mero partecipare!, ogni mezzo era buono e, in particolare, la combinazione di forza ed astuzia era la più ammirata. Una traccia se ne ha nei giochi funebri in onore di Patroclo, nell’Iliade, con i  suggerimenti del vecchio Nestore al figlio in occasione della corsa dei carri.

 La combinazione dei due fattori configurava l’Uomo ideale, perfetto nel fisico ( e questo porterà alla nudità atletica ed alla perfezione della statuaria), perfetto nella mente e nella mancanza di scrupoli  quando la meta era la vittoria nella competizione con un altro uomo, vittoria cui poteva seguire l’”ubris” che  portava l’osannato vincitore  a sfidare addirittura gli Dei . L’esasperazione delle singole capacità ed i trucchi impiegati, portavano spesso ad autentici disastri, particolarmente nella corsa dei carri quando si urtavano, si rovesciavano, si ammucchiavano sulla pista anche 40 carri e , magari, arrivava solo al traguardo e vinceva quello che tagliando la strada ad un rivale, aveva provocato il disastro.

Malgrado tutto, basta rileggere Pindaro per capire quale immenso patrimonio di gloria e di prestigio fossero  gli agones. Il segreto di ciò stava in buona parte nel culto della persona umana e, per il resto, nella consapevolezza che i  giochi erano il mezzo più idoneo per realizzare la ‘ Paideia’, cioè l’unità culturale degli Elleni.

 Questo aspetto politico-culturale spiega perché Nerone, durante il suo viaggio trionfale in Grecia, volle gareggiare ( anche come auriga) e farsi proclamare immeritatamente vincitore: una tappa necessaria nella realizzazione del suo programma politico basato, appunto, sulla paideia, non soltanto una vanità personale. Naturalmente, morto Nerone (“qualis artifex pereo!”), il suo nome fu cancellato dall’elenco dei vincitori e colpito da damnatio memoriae.

La Grecia sottomessa conservò nei giochi fino al IV sec.d.C. la sua anima, accentuandone, se possibile, l’intrinseca religiosità razionale i cui caratteri erano evidentemente incompatibili con il nuovo credo cristiano. Alla fine, gli editti di Teodosio e la persecuzione dei pagani che ne seguì, portarono alla loro soppressione. E’ significativo che la fine di Olimpia coincida con la rimozione dalla Curia romana della statua della Vittoria ivi posta da Augusto e che, nell’ultima battaglia, l’esercito pagano di Arbogaste, inalberasse insegne con l’immagine di Eracle, eroe intimamente connesso alla celebrazione delle gare panelleniche..

Un filo sottile ed ininterrotto lega, infine, le gare sacre  alla speculazione filosofica, vale a dire alla culla della nostra attuale cultura. La discussione e l’invenzione del senso delle cose e della vita, in una parola la filosofia,  si fanno “ agon” nei portici che circondano le palestre dove ci si allena in attesa dei giochi. Sono i luoghi di nascita di tutti quelli che  ci hanno insegnato a pensare ed a fare accorto uso della mente. La  concezione dell’Uomo come unità fisica e speculativa è conquista ed eredità dei Greci antichi che giungerà a noi animando, nella translatio culturae del XV sec, l’Umanesimo e il  Rinascimento, fino alla Controriforma.

Le odierne Olimpiadi sono tutt’altra cosa dalle antiche: le presuppongono, ma non ne sono l’ipostasi, essendo irripetibile e irrimediabilmente trascorso lo spirito di quelle. Ogni tempo, infatti, può esprimere solo se stesso, mai far rivivere ciò che è congelato nella memoria storica e assimilato nella percezione formativa della nostra cultura.

20/08/2004





        
  



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