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Festività di S. Emidio nel 17° Centenario del martirio

Ascoli Piceno | Testo dell’omelia del Vescovo Montevecchi al termine della Solenne Processione.

di † Silvano Montevecchi

Eccellenza, autorità, fratelli e sorelle
 
con animo grato al Signore ci troviamo a concludere le celebrazioni di questo anno emidiano che ci ha visti impegnati in cammini di catechesi, momenti di preghiera e gesti di carità che si concretizza nella determinazione di istituire una borsa di studio a favore di un seminarista teologo del Patriarcato Cattolico di Gerusalemme, una Chiesa che soffre all’interno del conflitto ebraico-palestinese.
 
Le attività che abbiamo realizzato mettono in risalto una domanda ineludibile: con quali parole noi cristiani dobbiamo dire, all’inizio di questo nuovo secolo, la nostra fede di sempre?
 
Da duemila anni ad ogni tornante della storia i nostri fratelli cristiani hanno affrontato la grave ed esaltante avventura di comunicare il vangelo al mondo. Fu lo stesso Maestro ad esortare gli apostoli, proprio mentre li stava lasciando, ad andare e ammaestrare “Tutte le nazioni.... insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19-20).
 
Da allora ogni generazione cristiana ha vissuto l’impegno di comunicare la fede ai contemporanei e nello stesso tempo di consegnarla alla generazione successiva.
 
E’ la fede di sempre quella che una generazione consegna all’altra.
 
Tuttavia, la diversità dei destinatari per storia, cultura, sensibilità, obbliga, di volta in volta, a trovare un linguaggio nuovo perché il suo contenuto sia comprensibile a coloro a cui è rivolto.
 
Giovanni XXIII, aprendo il Concilio, affermava “E’ necessario  che questa dottrina certa e immutabile.....sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo” (Discorso di apertura del Concilio, Gaudet Mater Ecclesia, 11 Ottobre 1962).
 
E Paolo VI, con grande sapienza, sottolineava la necessità di “rendere la Chiesa sempre più idonea ad annunciare il vangelo all’umanità del XX secolo” (Esortazione apostolica Evangeli Nutiandi, 8 dicembre 1975).
 
Giovanni Paolo, nel traversare la soglia del nuovo millennio, riproponeva  la stessa prospettiva: “Non si tratta di inventare un nuovo programma; il programma c’è già: è quello di sempre......Esso si incentra in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in Lui la vita trinitaria e trasformare con Lui la storia fino al suo compimento...E’ un programma che non cambia con variare dei tempi, delle culture, anche se del tempo e delle culture tiene conto per un dialogo vero ed una comunicazione efficace. Questo programma è il nostro per il terzo millennio” (Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte, 2000).
 
Il nostro Cristo non è un freddo monolito, immobile e fisso nei secoli. Esso conserva la sua vera identità solo se diviene comprensibile alle diverse generazione che si susseguono nella storia, ossia se riesce, come accede alla prima predicazione di Pietro a Pentecoste, a “trafiggere il cuore” (At 2,37).
 
Del resto la Rivelazione non è altro che la storia del colloquio di Dio con gli uomini (cfr Eb 1, 1-2). Ogni generazione cristiana deve comprendere il vangelo di Dio per poterlo trasmettere in modo comprensibile agli uomini del proprio tempo.
 
Oggi viene fatto notare che i nostri anni possono essere definiti, per l’atteggiamento che li caratterizza nelle sfere più diverse della vita e del pensiero, come l’era dell’optional con le conseguenze che le persone si creino una religione a propria immagine e somiglianza, mettendo assieme elementi di religioni diverse e anche discordanti tra loro. Tutto diviene confuso e senza confini. Anche i contenuti della fede cristiana cedono il passo ad un credo magmatico senza più identità e senza più forza.
 
Di qui la necessità di comunicare nuovamente la fede cristiana nei suoi tratti e nei suoi contorni, per consentire a ciascuno di confrontarsi con essa fino in fondo. E’ valido per noi l’esortazione di Pietro ad essere “Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15).
  
Una fede che non sa dirsi, rischia di essere vuota e inutile. Si potrebbero applicare in questo caso le parole evangeliche: “Se il sale perdesse il suo sapore con che cosa lo si potrà rendere salato” (Mt 5,13).
 
E’ affascinante quanto ci riferisce la tradizione circa S. Emidio: egli predicava fuori e la gente usciva dalla città ricca per ascoltare una parola saporosa per la vita.
 
Proprio in questa prospettiva mi preme sempre invitare a frequentare il nostro Istituto Superiore di Scienze Religiose e le Settimane Bibliche che si svolgono presso il Monastero di Valledacqua.
 
L’eredità di S. Emidio è tutta qui: proporre la fede della Chiesa “Colonna e fondamento della verità” e testimonianza con intatta coerenza di vita.
 
Questa grande vostra partecipazione è già una risposta a queste mie sollecitazioni.
 
Eccellenza Reverendissma,
 
Le rinnovo il nostro ringraziamento per essere stato un poco tra noi. A Dio piacendo ci rivedremo presso di voi in Treveri il prossimo anno e poi assieme andremo a Colonia per adorare Gesù, come i santi Magi, nella cornice della Giornata Mondiale della Gioventù
 
Ci porti nelle sue preghiere e sappia che Ella rimane nel nostro cuore, assieme ai ragazzi, ormai divenuti amici carissimi.
Grazie veramente.
 

05/08/2004





        
  



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