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Il dio che ha fallito

San Benedetto del Tronto | Non è per nulla facile spiegare tutti i sentimenti di oppressione che hanno attraversato chi abbia avuto o abbia a che fare con lo Tsanumi ed i suoi tragici effetti.

di Renato Novelli

Per mesi la cronaca quotidiana è fatta di sensazioni diverse, contrapposte spesso l’una all’altra, anche se tutte dominate da un senso di pesante angoscia.

Ci si emoziona per la foto di una bambina bionda dagli occhi azzurri, che non ricorda più il suo nome e la propria lingua, alla quale i dottori hanno spiegato che ha perduto madre e padre o si è stato colti dallo stupore parlando con un pescatore che era in alto mare e non si è accorto del disastro. Ha visto passare l’onda, l’ha fotografata nella sua mente, ha sentito l’inquietante energia sottomarina che sprigionava sotto la spuma della cresta, ma non ha pensato avesse nessuna carica distruttiva ed ha continuato a pescare. Alle sensazioni più opprimenti va assegnata anche la lettura dei quotidiani.

Una macabra noia prende alle spalle chi, la mattina in Indonesia o in ogni altro dei paesi disastrati, abbia il coraggio di leggere il già stanco dibattito istituzionale sulla prospettiva di creare per l'Oceano Indiano un sistema di allerta per le onde anomale analogo a quello esistente alle Haway per il Pacifico. Non che la cosa sia irrilevante, ma la discussione sul sistema di allerta appare di facciata, se i governi delle rive dell’Oceano Indiano, non affrontano insieme il nodo dei sistemi comunicativi. Se c'è un Dio che ha fallito in questa vicenda è proprio la società’ dell’informazione sulla quale sembrava fondato lo sviluppo dei paesi asiatici nella fase successiva alla crisi del 1997. La Tailandia possiede una stazione meteorologica in grado di rilevare i terremoti (Meteorology Department Earthquake Bureau).

La mattina del 26 alle 7: 58 una vasta porzione del Sud Est asiatico sente la scossa che aveva il mare di Aceh come epicentro. 

Alle 8: 05 il Centro Meteorologico è assalito da una montagna di telefonate (evito di proposito ogni riferimento figurato al mare, alle inondazioni ecc.) dal Sud e perfino da Bangkok, cittadini spaventati comunicano di avere sentito una scossa.

Alle 8: 30 una seconda scossa è avvertita nel Nord della Tailandia.

Alle 8: 50 i tecnici del Centro stabiliscono l’epicentro e il grado nove della scala Richter. La seconda scossa è del grado 6,4. Il primo annuncio ufficiale del maremoto viene dato ai media.

Alle 9: 04 Il Centro delle Haway avvisa di possibili onde irregolari nella zona del maremoto. L’E Mail non viene aperta perché’ i tecnici sono troppo impegnati a spedire fax sul terremoto e ricevere telefonate.

Alle 9: 20 l’annuncio del maremoto può essere letto nel web del Centro.

Alle 10: 05, il Centro riceve una telefonata da Phuket: una persona è stata uccisa da un’onda gigantesca

Alle 10: 10 una seconda telefonata informa che molte persone sono state uccise a Phuket dall’onda gigantesca.

Alle 11:29 parte dal Centro l’allarme per i pescatori del Mar delle Andamane, i residenti delle Province di Phuket, Krabi, Phangnga.
In realtà’ e già accaduto tutto.

Aceh è già’ un immenso cimitero di distruzione, negli alberghi della Tailandia l’onda è arrivata fino ad un centinaio di metri dalla spiaggia ed ha travolto tutto, 150 villaggi non ci sono più’ o sono danneggiati drammaticamente, 30.000 pescatori non hanno più’ una barca, molti altri hanno perduto anche la vita. L’onda viaggia verso Occidente. A Sri Lanka è l’ambasciatore americano, avvertito dal Centro delle Haway, ad avvisare il governo, poco prima che l’onda irrompa sull’intera costa dell’Est e un tratto di quella del Sud. Nel Tamil Nadu l’onda arriva poco dopo.

Per paradosso il principale fallimento del sistema informativo non è quello del rilevamento del fenomeno e di un’organizzazione d’allarme.

E’ stata la circolazione sociale della notizia a non funzionare per niente.
Nonostante i sofisticati strumenti, nessuno è stato avvisato del pericolo imminente quel mattino del 26 Dicembre. Dal terremoto all’onda ci sono stati tra 90 e 150 minuti utili per limitare il disastro. Non un computer, non un E Mail, non un telefonino sono stati usati. Gli esperti del Centro d’allarme del Pacifico non avevano capito la portata dell’evento. Ma secondo altre voci, incontrollate o meglio incontrollabili in questa parte del mondo, si afferma che una TV thailandese riceve la richiesta del Centro Meteorologico di far scorrere un allarme sullo schermo o di interrompere i programmi. Ma il Direttore era fuori e nessun altro poteva prendere una decisione del genere.

Ancora più pesante è stato il muro di silenzio che ha lasciato senza nessuna considerazione i segni premonitori di un terremoto.  

Basta l’esempio di un episodio vero e controllato. In Asia si è discusso per anni degli allevamenti di gamberi, nocivi e redditizi, maledetti nei piccoli villaggi, una fortuna per l’export di molti paesi (Tailandia, Indonesia, India tra i primi). I pescatori del distretto di Si Kao a Trang raccontano di avere visto l’acqua delle enormi vasche (30 metri di lunghezza, 10 di larghezza) crescere e tracimare. Ma, pur capendo che qualcosa connesso con un terremoto stava per accadere, non sapevano chi avvisare: il loro know how tradizionale e popolare, non era in rete.
La povertà’ della comunicazione non è un episodio tecnico. Dopo la crisi finanziaria del 1997, gli economisti dei governi asiatici, hanno sottolineato che proprio l’innovazione informativa è stata alla base della ripresa delle economie asiatiche. L’esempio dei mercati dell’Asia del Nord (Giappone e Corea) avrebbe dato alla Tailandia, Indonesia, Malaysia la capacita’ di affrontare l’export attraverso un uso articolato e sofisticato di sistemi informativi aggiornati. La retorica sulle società’ asiatiche modernizzate con valori tradizionali e senza la conflittualità’ o l’insoddisfazione critica degli europei, ha riempito scaffali come lo aveva fatto anni prima il dibattito sul modello asiatico di sviluppo rapido. Il Dio ha fallito clamorosamente.

E’ precipitato dagli scaffali e dai programmi, dalla ricerca universitaria e da quella degli Istituti indipendenti.
La macabra noia del dibattito sul costoso sistema di warning per le onde assassine è tutta nel nodo della circolazione reale delle notizie, del confronto tra i know how popolari e l’approccio scientifico ai fenomeni. O ancora di più’ è nella realtà’ della democrazia. Hussein Alatas, uno degli studiosi più autorevoli delle società asiatiche, in un breve intervento  ricorda proprio questo problema, quando si chiede come sia stato possibile che Sumatra, terra e mare notoriamente soggetti a terremoti, non fosse monitorata dove monitorare vuol dire avere un sistema scientifico informativo efficiente, ma anche un’organizzazione dei know how, una circolazione dell’informazione dal basso a livello delle comunità’, dall’alto a livello dei settori esposti come il turismo o la pesca o la navigazione. Rimane per tutti noi l’inquietudine derivata dalla sensazione che il disastro si sarebbe potuto  contenere o addirittura evitare.

(in allegato la seconda parte dell'articolo per approfondimenti)

30/01/2005





        
  



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