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L’ironia : un sorriso agrodolce

San Benedetto del Tronto | Intendere il contrario di quanto letteralmente si dice.

di Vincenzo Ambrosio

Contrarium quod dicitur intelligendum est , intendere il contrario di quanto letteralmente si dice. Così Quintiliano, nel I secolo d.c. , definì  l’ironia, cioè quel modo di prendere in giro il prossimo con un garbo ed un gusto che mai violi il sottile limite oltrepassato il quale si finisca nel sarcasmo. L’ironia è un modo , quasi romantico, di denunciare velatamente la difficoltà dell’uomo di adeguarsi ad un mondo estraneo e distante ,dal quale difendersi, a volte dissimulando, altre volte fingendo, e spesso con la incoscienza che altri possano non capire. In effetti, è ben difficile che capiscano poiché son portati a cogliere, degli sferzanti pensieri, la parte che provoca dolore e sofferenza e che ingenera quel male dentro chiamato “incomprensione”.

L’essere munito di tale qualità pregiudica la sua esistenza proprio perché lievemente capito, e quel suo modo, apparentemente presuntuoso e superbo di esprimersi , nasconde un mondo interiore desideroso di donare , senza la necessità di dover, punto, ricevere. Chi usa l’ironia capisce che la vita non dovrà essere presa sul serio , poiché qualunque azione venisse compiuta, qualunque cosa fosse progettata, ideata, portata a termine, non se ne uscirebbe mai vivi. L’ironia e’ un sorriso intimo , non devastante, ma acquietante, leggero, soffuso.Essa culla e dimena l’animo , spostandone gli orizzonti,allargandone la capacità di percezione, nutrendone l’essenza : esaltandola.

L’ironia non è la sottile linea che divide la originalità del pensiero dalla malattia mentale, ma è come una dieta ben bilanciata quando in entrambi le mani vi fossero medesime quantità di dolci.Ha , essa, anche degli aspetti nefasti, ove la si usi in maniera pervicace e costante :  il disincanto, il cinismo, l'autoconsapevolezza inficia a tal punto  i nostri comportamenti da svuotarci da sogni, emozioni e valori, da immiserire vite e aspirazioni. Avendo visto tutto, provato tutto , letto tutto , rimanendo delusi dalle speranze civili e politiche , non riusciamo più a godere dello spettacolo del mondo, perché ne abbiamo paura , perché sentiamo aleggiare lo spirito della “fregatura”.

E così , diveniamo cinici e la paura del fallimento e della umiliazione ci impedisce di esprimere quelle sensibilissime emozioni che ci devastano dentro, e quelle apprezzabili sensazioni di desideri innocenti e puliti. Finiamo, in tal modo, per comprimere dentro noi stessi tutte le cose più belle , le quali lì giaceranno come sepolte da cumuli di insincerità.

11/01/2005





        
  



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