"Che ci faceva la Sgrena in Iraq?"
Ascoli Piceno | Cannella: Come a dire: la colpa è sua, fuori dall'Iraq i giornalisti ficcanaso"
di Carlo Cannella
"Che ci faceva la Sgrena in Iraq?" Come a dire: "la colpa è sua, fuori dall'Iraq i giornalisti ficcanaso". Così si è espresso il consigliere comunale Galosi nella seduta di lunedi scorso, quando la maggioranza di centrodestra ha respinto un ordine del giorno che intendeva esprimere, a nome del consiglio comunale, la sincera solidarietà alla famiglia di Nicola Calipari, e nel contempo associarsi all'unanime volontà del paese e delle istituzioni per l'accertamento dei fatti che hanno portato all'omicidio dell'alto funzionario del Sismi.
Avrei voluto spiegare al consigliere Galosi che il diritto all'informazione ci rende liberi, che i resoconti di Giuliana Sgrena dall'Iraq sono stati fra i pochi a farci comprendere quello che realmente sta succedendo in quel disgraziato paese, a raccontarci dei rastrellamenti casa per casa, dei bombardamenti dei quartieri civili, dei bambini smembrati dalle bombe a grappolo, della violenza cieca della guerra, che sarà anche democratica ma non risparmia niente e nessuno. Ma poi l'ho guardato bene in faccia, ed era la faccia torva e inquietante di chi non è disposto a confrontare la sua verità con quella degli altri. Era la stessa faccia del ministro degli esteri Gianfranco Fini, quella che campeggia nelle piazze italiane con tanto di parole d'ordine alle spalle: "eravamo in pochi a chiamare patria l'Italia. Oggi siamo la maggioranza". Forse non è ancora così ma poco ci manca. Come manca poco che fascisti e affini possano dire di rappresentare, con la legittimità di un consenso generalizzato, quella che una volta, da sinistra, si definiva volontà popolare.
Avrei voluto spiegare al consigliere Galosi che il diritto all'informazione ci rende liberi, che i resoconti di Giuliana Sgrena dall'Iraq sono stati fra i pochi a farci comprendere quello che realmente sta succedendo in quel disgraziato paese, a raccontarci dei rastrellamenti casa per casa, dei bombardamenti dei quartieri civili, dei bambini smembrati dalle bombe a grappolo, della violenza cieca della guerra, che sarà anche democratica ma non risparmia niente e nessuno. Ma poi l'ho guardato bene in faccia, ed era la faccia torva e inquietante di chi non è disposto a confrontare la sua verità con quella degli altri. Era la stessa faccia del ministro degli esteri Gianfranco Fini, quella che campeggia nelle piazze italiane con tanto di parole d'ordine alle spalle: "eravamo in pochi a chiamare patria l'Italia. Oggi siamo la maggioranza". Forse non è ancora così ma poco ci manca. Come manca poco che fascisti e affini possano dire di rappresentare, con la legittimità di un consenso generalizzato, quella che una volta, da sinistra, si definiva volontà popolare.
Ricompaiono sempre più prepotentemente i cancri che pensavamo destinati a finire fra i rifiuti. Fra i rifiuti di una società per la quale molti hanno lottato nel passato e nella quale anche noi avremmo voluto che si affermassero ben altri valori: la libertà dallo sfruttamento, la libertà dal bisogno, la solidarietà fra gli emarginati del mondo intero. E invece patriottismo, nazionalismo, militarismo. Concetti tanto vuoti di umanità e intelligenza quanto gonfi di una retorica stupida e criminale, che vengono riproposti e riaffermati da una classe dirigente arrogante e che non avverte il pudore di nascondere le vergogne del proprio passato.
Avrei voluto dire al consigliere Galosi che l'Italia è un paese che ripudia la guerra. Così, più o meno, recita la costituzione italiana, la costituzione di un paese e di una comunità che uscirono distrutti dal fascismo e dalla sua guerra, e che si illusero che bastasse scrivere questa frase su un pezzo di carta perchè non si ripetessero le tragedie che avevano insanguinato l'Europa.
E invece patriottismo, nazionalismo, militarismo. "I nostri ragazzi" che invadono, nelle loro fighissime tute mimetiche, paesi e terre lontane. Finalmente, dopo anni di marmittoni spauriti e piagnucolosi, un esercito di professionisti determinati, sparsi fra le montagne afghane o nei deserti mediorientali, fieri di rappresentare l'onore, l'orgoglio e tutte le sciocchezze dell'universo mitologico di destra.
Non sono un estimatore di Edward Luttwack, politologo ed esperto di tattica militare americano. Ma ammetto di provare un sottile piacere quando si diverte a sferzare l'ipocrisia del governo italiano sulla guerra irachena, una guerra tanto evidente quanto inammissibile. Al ministro Castelli, che si affannava a negare l'intervento dell'Italia in guerra, rispondeva qualche giorno fa in maniera sarcastica proprio Luttwack: "va bene, signori, vuol dire che siamo alleati in una missione di pace". Le risposte a chi è capace di inventare ragioni etiche per giustificare le attuali politiche di aggressione vengono direttamente da chi può permettersi di confessare quelle politiche.
A quanto pare siamo tutti chiamati alle armi. Dovremmo quindi arruolarci per partecipare e contribuire a questo frizzante risveglio dell'orgoglio italico e dell'amore patrio, gioire perchè l'Italia ha riacquistato quel ruolo di protagonista nello scacchiere mondiale che le fu negato, sessant'anni fa, dall'invidia delle potenze demoplutocratiche. Dovremmo, ma non lo facciamo. Perchè siamo consapevoli degli enormi interessi che muovono gli eserciti e le menzogne di stato.
C'è un settore dell'industria, quello delle armi, che non conosce crisi. Che neppure negli anni bui della recessione, o quando ha dovuto smettere di produrre mine antiuomo, ha visto ridurre i propri profitti. E' un'industria privilegiata, che se occorre vede scendere al suo servizio le massime autorità dello stato, le stesse autorità sempre impegnate a parlare di pace, ma evidentemente convinte che la sola pace sia quella che poggia sulla ragione delle armi. E quante più armi esportiamo, tanto più ricaviamo profitti. Senza badare se chi le acquista le usa per soffocare nel sangue i propri oppositori o per aggredire il vicino indifeso. Il mercato è mercato, il mercato è libero e tale deve restare, altrimenti poi nascono i problemi con il famoso Pil.
Avrei voluto dire al consigliere Galosi che siamo nauseati da tutto questo, che non vogliamo farci stordire dai tromboni stonati della retorica patriottarda e dalla demagogia guerrafondaia. Ma poi l'ho guardato bene in faccia e mi sono chiesto: "ma a chi parlo? Con chi discuto?"
Avrei voluto dire al consigliere Galosi che siamo nauseati da tutto questo, che non vogliamo farci stordire dai tromboni stonati della retorica patriottarda e dalla demagogia guerrafondaia. Ma poi l'ho guardato bene in faccia e mi sono chiesto: "ma a chi parlo? Con chi discuto?"
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11/03/2005
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