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“I solisti veneti” e Claudio Scimone eseguono Haydn, Dvorak, Strauss

| ANCONA - Appuntamento al Teatro delle Muse martedì 15 marzo alle 21 per la stagione degli “Amici della Musica”

Nuovo appuntamento di prestigio per la stagione della società “Amici della Musica – Guido Michelli” di Ancona, che martedì 15 marzo alle 21 propone al Teatro delle Muse un concerto dei “Solisti Veneti”, diretti da Claudio Scimone: uno degli ensemble  più prestigiosi e celebri del mondo, che da sempre richiama un folto pubblico.
 
“I solisti veneti” e Claudio Scimone eseguiranno, di Haydn (1732 - 1809), la “Sinfonia in do maggiore Hob. I n. 60 Il distratto” (circa 25 minuti), di Dvořák (1811 - 1890) la “Serenata per archi” (circa 8 minuti), di Richard Strauss (1864 - 1949) le “Metamorphosen, studio per 23 archi solisti AV 143” (circa 27 minuti).
 
L’ensemble è stato fondato dal suo direttore Claudio Scimone nel 1959, a Padova, dove il maestro è nato. Il programma proposto ad Ancona è equilibrato, presentando nella prima parte due lavori “distesi”, come la Sinfonia di Haydn, piacevolmente giocata su “imprevisti” strumentali, o la bella Serenata di Dvorak, mentre si addensa decisamente nella seconda parte con uno degli ultimissimi capolavori di Richard Strauss: Metamorphosen, il fulcro di tutto il concerto.
 
Strauss è uno di quei compositori verso cui una grandissima parte della musicologia accademica ha in genere un atteggiamento presupponente ed esprime un giudizio, per fortuna non unanime, sospeso, diviso in due. Applaude infatti solo la fervida, fertile e fulminea parabola ascensionale che va dall’impressionante esordio con Don Juan (1888), fulgido capolavoro composto a 24 anni, fino alle grida espressioniste di Elektra e Crisotemide (1909), “apice”, a suo avviso, che segna il giro di boa verso un neoclassicismo inaugurato da Der Rosenkavalier (1911), che non gli venne mai perdonato.
 
La lunghissima vita di Richard Strauss, nato a Monaco nel 1864 e morto a Garmisch nel 1949, ha offerto il fianco per una visione che lo vuole artista “inattuale”, anacronistico, fuori dai veri giochi che trasformavano e consumavano il linguaggio tonale, più o meno contemporaneamente alla “restaurazione” di Der Rosenkavalier.
 
Metamorphosen, “Studio per 23 archi solisti”, è un lavoro d’estrema, dolorosa, irresistibile bellezza, composto dal maestro ottantunenne nel 1945 a Garmisch, alla vigilia della resa nazista, con la Germania rasa al suolo dai bombardamenti alleati, iniziato il giorno dopo la distruzione della Staatoper di Vienna, e dedicato al Collegium Musicum di Zurigo e al suo direttore Paul Sacher. Il titolo fa riferimento al concetto di  “metamorfosi” con cui  Goethe, nella vecchiaia, spiegava il suo procedimento mentale. Strauss aveva riletto l’intero corpus goethiano durante la guerra. Metamorphosen è un’opera di commiato, una marcia funebre che accompagna la dissoluzione di un’epoca e dei suoi simboli. Ma “metamorfosi” è anche il procedimento compositivo a cui le varie linee melodiche di questo lavoro vengono sottoposte.
 
La partitura, sinfonico-cameristica, difficile da definire, parla il linguaggio wagneriano (Tristano e Isotta) e decadente di Mahler (Quinta Sinfonia) e dello Schönberg di Verklärte Nacht, ma risulta più contenuta, più tersa e cristallina, in un certo senso. La struttura in qualche modo contrappuntistica, in cui tutti e 23 gli strumenti agiscono per tessere quest’addio, s’intreccia, tra i vari, anche con un inciso tematico desunto dalla Marcia Funebre della Sinfonia “Eroica”, il cui tema, accompagnato in partitura dall’epigrafe “In Memoriam”, compare citato chiaramente solo alla fine del brano. Goethe e Beethoven servirono forse per congedarsi da un mondo che chiaramente e scelleratamente aveva deviato da loro.

04/03/2005





        
  



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