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OPA, alcune precisazioni

| MILANO - Alcune precisazioni di un nostro lettore sull'editoriale di "Veleno" sull'OPA

di Luigino Vagnozzi


Gent. Direttore,
Le scrivo dopo aver letto l' articolo Un cavallo di Troia di nome "OPA" di Veleno pubblicato sul suo sito; se lo riterrà interessante potrà anche pubblicare quanto segue.

Sono di Grottammare e apprezzo Il quotidiano.it come mezzo di informazione per tenermi legato al mio paese e per avere sempre un occhio sulla provincia vista da lontano, dato che da qualche anno vivo a Milano e lavoro in quel mondo della finanza che sembra dare tanto fastidio al vostro editorialista.

Quindi vorrei fare alcune precisazioni.

"L' OPA ovviamente non è una maledizione e tanto meno una fattura di malocchio ma qualcosa di peggio, almeno per l' economia e la finanza italiana".
Ormai viviamo in un sistema non più italiano ma europeo e questo è un punto fermo da cui non si torna indietro; il mercato di riferimento delle nostre imprese è l'intero continente, in cui porre le basi per l' espansione globale: ciò è un fatto ineludibile a cui nessuno può sottrarsi, tantomeno le banche.

La frammentazione dei singoli  mercati bancari nazionali sta per essere superata da un periodo di consolidamento cross-border, in cui soltanto alcuni nostri istituti potrebbero aspirare a giocare il ruolo di cacciatori anziché di prede, a condizioni di aggregarsi prima fra loro (Unicredit-Banca Intesa, San Paolo-Capitalia?).

Ma siamo proprio sicuri che questo consolidamento europeo rappresenti qualcosa di peggio di una fattura di malocchio per l'economia italiana?
Beh, io penso proprio il contrario. Fazio e tutti gli Istituti di credito italiani si sono costruiti il loro orticello inespugnabile, fatto di rendite da oligopolio e regole autoimposte: le Banche sono gli azionisti della Banca d' Italia, che svolge il ruolo di controllo sulle Banche stesse (Autorità Antitrust) con responsabilità sulla stabilità del sistema.

Ebbene, questa struttura autoreferenziale ha fatto si che i risparmiatori italiani sostengano i costi più alti d'Europa per la tenuta di un semplice conto corrente  (50 euro circa in media) e che sia possibile addebitare delle spese una tantum di 60 euro all' anno senza che Banca d'Italia si accorga di niente: pensi che la denuncia di quest' ultimo sopruso bancario (ad opera di un Istituto protagonista in questi giorni della difesa dell' italianità delle banche e molto vicino al Governatore) è stato denunciato da Striscia la Notizia, che in questo caso ha raccolto le lamentele di migliaia di clienti della banca (dov'era la Banca d'Italia?).

All' estero, la competizione tra le banche porta ad ottenere un conto corrente a costo zero, prelievi bancomat illimitati da qualsiasi sportello, carte di credito gratis e spese di chiusura conto inesistenti; detto questo è facile capire perché il mercato italiano sia attrattivo: guadagni facili alle spalle di risparmiatori che non sanno cosa sia la concorrenza tra le banche, visto che tutte applicano condizioni simile e passare da una banca all' altra è così costoso.

Un altro punto che vorrei chiarire è l' affermazione finale, molto grave a mio avviso: "Per darvi un' idea potremmo dire che la FIAT, con un sistema bancario di questo genere, sarebbe fallita. Questi istituti sono disposti a finanziare solo imprese competitive o in grado di divenirlo. Figuratevi che fine farebbero le nostre micro imprese".

Ciò è completamente falso: qualcuno pensa che Unicredit, Banca Intesa, San Paolo Imi e Capitalia abbiano salvato la FIAT per spirito nazionalistico, per mantenere la tecnologia automobilistica nel nostro paese?? Ciò è quantomeno folle: l' unico motivo che le ha portate a sottoscrivere un prestito convertendo (se FIAT non rimborserà il debito le banche saranno le prime azioniste dell' Azienda, più pesanti della famiglia Agnelli) è il timore di non vedere rimborsati gli altri miliardi di crediti vantati precedentemente con il gruppo torinese in caso di fallimento.

E' questo l'unico motivo: rifinanziare ulteriormente il debito per non perdere tutto, questo è quello che farebbero anche gli istituti di credito stranieri operanti in Italia (Deutsche Bank è attiva da anni in Italia e nessuno ne parla!).

Per quanto riguarda le microimprese, non c'è nulla da temere; della concorrenza tra banche si avvantaggeranno anche loro, sfruttando i network bancari internazionali per crescere all' estero e spuntando migliori condizioni sui finanziamenti. Nessuno verrà abbandonato quindi, anche perché una piccola impresa italiana, con buone potenzialità di crescita sarà per qualsiasi banca, italiana o straniera, un cliente da non farsi scappare.

Nel 2004 gli spagnoli Santander Central Hispano hanno scalato il colosso inglese Abbey National: in quel caso nessuno ha osato alzare gli scudi in difesa del sistema bancario nazionale: la Banca d' Inghilterra si è limitata a verificare che l'operazione tutelasse i piccoli azionisti, il resto lo ha fatto il mercato, valutando l' offerta economica degli spagnoli. Questo è successo in Inghilterra, casualmente il più efficiente mercato bancario europeo.

Ben venga quindi il libero mercato e la concorrenza, ne guadagnerebbe l' intero sistema: l' unica condizione (e su questo dovrebbero insistere Banca d' Italia e Governo) è che le condizioni siano reciproche, e cioè che le nostre Banche e i nostri imprenditori possano andare all' estero e scardinare oligopoli presenti in Europa in tutti i settori, spingendo prima il sistema a consolidarsi internamente, con fusioni e acquisizioni, come dice il Presidente Montezemolo.

E' necessario rimboccarsi le maniche e raccogliere la sfida internazionale. Cercare di difendere il nostro orticello, impossibile visto che siamo fortunatamente in Europa, sarebbe un errore che potrebbe costarci molto caro.

13/04/2005





        
  



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