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Disastri climatici e fuga dalla realtà

| SENIGALLIA - Cosa sta succedendo ad un clima che sembra impazzito.

di Andrea Cesanelli


E' esperienza comune che oramai da anni le stagioni riservano, sul lato climatico, svariate e stravaganti sorprese: gli inverni paiono essere più miti e le estati arrivano prima e portano afe un tempo sconosciute. Ultimo esempio cui siamo stati soggetti noi italiani è stato il 2003, la cui estate si è distinta per una grande siccità che ha colpito non solo il nostro paese, ma anche tutta l'Europa meridionale; poi in settembre la situazione si è rovesciata e gravissime inondazioni hanno colpito questa parte di Europa.

Che cosa sta succedendo?
Che il clima stìa cambiando non è solo una vaga esperienza dell'uomo della strada che si lascia influenzare dai pregiudizi e dai luoghi comuni, ma purtroppo è un dato di fatto monitorato e riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale. Gli enti preposti a tali studi non nascondo la drammaticità della situazione che solo organi di informazione superficiali e governi sconsiderati possono minimizzare.

Secondo un recente rapporto dell'IPCC (intergovernamental Panel on Climate Change, un organismo internazionale che opera sotto l'egida delle Nazioni Unite), è oramai evidente un rapido modificarsi in alcune caratteristiche del pianeta Terra e che ciò è da imputarsi senza ombra di dubbio alle recenti (100/200 anni) attività industriali umane, dove, su scala planetaria, mutazioni climatiche non avvengono se non nel corso di centinaia di migliaia di anni, con tutto il tempo per l'ecosistema di prepararsi e adattarsi alle nuove situazioni.

In particolare, viene attribuita una sempre maggiore responsabilità a 6 gas (anidride carbonica, metano, protossido di azoto, perflorocarburi PFC, idrofluorocarburi HFC e l'esafluorocarburo di zolfo SF6) cause prime di innalzamento della temperatura tramite il famoso processo dell'effetto serra.

Gli scienziati parlano di un probabile aumento della temperatura media del Pianeta nell'ordine di parecchi gradi (da un minimo di 1,4° a un massimo di 5,8° nel prossimo secolo).
L'esiguità di tali mutamenti non tragga in inganno: per distruggere un ecosistema sono sufficienti modifiche anche minori. Purtroppo uno dei principali problemi è che gli enti ecologisti e di monitoraggio sulla salute della Terra devono affrontare è prorpio la generale incredulità dell'opinione pubblica a scenari futuri pessimistici.

Per un meccanismo di difesa psicologico si tende ad escludere le previsioni più drammatiche o prestar loro poca fede, in questo ambito, anche per il fatto che ancora non se ne sentono chiaramente le avvisaglie nella vita di tutti i giorni. E su questo indifferente e irrazionale ottimismo prosperano le multinazionali e i governi che guardano solo al profitto dei loro azionisti o al benessere attuale delle loro nazioni. Ma sono politiche miopi che non potranno essere mantenute a lungo, in ogni caso.

Anche perché modifiche sostanziali nel clima terrestre si ripercuoteranno anche su molte attività economiche umane, prime tra tutte l'agricoltura, con tutto un strascico di problematiche sociali aggiuntive.

Per parlare solo del nostro continente, molte colture avranno una riduzione del periodo favorevole alla coltivazione, altre dovranno esser spostate più a nord; il meridione europeo conoscerà, oltre ad un riscaldamento generale, una maggiore instabilità climatica, mentre le zone del centro Europa si mitizzeranno diventando mediterranee. In tutte le zone, verrà  a sensibilizzarsi il problema dell'approvvigionamento idrico che, già oggi, ci appare in tutta la sua urgenza, e ciò avrà ripercussioni non solo sull'agricoltura.

Si consideri che l'Europa è una zona relativamente fortunata del nostro pianeta in cui gli effetti climatici sono mitigati, ma si valuti che nelle zone aride o a rischio desertificazione di Africa e Asia già ora  sono in atto processi distruttivi (la zona del are d'Aral, per esempio, ha conosciutoun aumento di 7° in più). Nel mondo, nel 2025, 5 miliardi di esseri umani rischieranno la vita per mancanza di acqua; entro il 2100, con un incremento della temperatra di 4° tutti i ghiacciai delle vallate montane potrebbero sparire; il livello del mare aumenterebbe di 50 cm; carestìe e malattìe come la malaria e la febbre dengue farebbero ritorno in Europa e America settentrionale; modificazioni delle correnti oceaniche porterebberoad u elevatissimo rischio di maremoti.

Queste solo alcune delle apocalittiche previsioni fatte dall'IPCC.
Nonostante ciò, per fare un esempio tra tutti, tra il 1990 e il 2000 gli Stati Uniti, principali responsabili di emissioni di gas serra,ne hanno aumentato la produzione del 13%, quando l'impegno di ogni nazione era di mantenere le stesse emissioni degli anni precedenti.

Il petrolio, col suo giro d'affarei di oltre 1 trilione di dollari annuoi, fa sì che le considerazioni economiche trascendano tutte le altre tra cui anche quelle ecologiste, ci sono nazioni che devono la loro sussistenza alle attivitàè legate alla lavorazione e estrazione di questa fonte di energìa e così il conflitto buridiano tra sopravvivere economicamente oggi e sopravvivere fisicamente domanim interessa gran parte del mondo.

Ma, che si tratti della più bieca speculazione o di semplice necessità di sopravvivenza, l'unica cosa certa è che rimandare ancora di affrontare la questione significa porre una pesante ipoteca sul nostro futuro su questo pianeta. Potremmo definire il problema com un caso di ecologìa egoistica perché riguarda una specie che dovrebbe starci molto a cuore (delle altre abbiamo abbondantemento smesso di iteressarcene). A quanti continuano a far finta di non vedere i problemi che si stagliano così gravemente all'orizzonte nascondendo come degli struzzi la testa sotto la sabbia, siano essi governi indifferenti, imprese piccole o grandi o semplici consumatori distratti, auguriamo solo che la sabbia sotto cui si nascondono non debba essere presto quella dei deserti sotto cui loro stessi stanno seppellendo la Terra.

19/04/2005





        
  



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