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l’indipendenza dei giornali

San Benedetto del Tronto | Nell’imminenza delle elezioni nazionali, puo’ un giornale indipendente, dichiarare la sua preferenza per l’una o per l’altra delle forze in campo?

di Tonino Armata


Fiducia al direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli, “le cui opinioni sono frutto di autonome decisioni nell’ambito dell’indipendenza garantita dalla attuale compagine azionaria”. Le ultime cinque righe del comunicato del patto di sindacato Rcs vanno dritte al cuore del caso di cui si è discusso, per parecchi giorni, nei palazzi della politica ma anche nei salotti della finanza: l’editoriale con cui Mieli ha annunciato ai lettori la “preferenza” del “Corrierone” per lo schieramento di centrosinistra.

Nell’imminenza delle elezioni nazionali, può un giornale indipendente, dichiarare la sua preferenza per l’una o l’altra delle forze in campo, senza scalfire la sua indipendenza? Certo che sì! Il direttore del Corriere della Sera, non ha fatto niente di male quando ha scritto, mercoledì 8 marzo, che il suo giornale “auspica un esito favorevole a una delle due parti in competizione: il centrosinistra”. Anzi (sarò di parte), ha fatto benissimo. Trovo scoraggianti le reazioni fra gli uomini politici, e perfino fra molti giornalisti: c’è chi a parlato di caduta di stile, e chi ha detto che il Corriere è diventato “un gadget elettorale”. Segno che la cultura nazionale, per quel che riguarda la stampa d’informazione, è ancora allo stadio infantile.

E allora ricominciamo da capo. Un giornale d’informazione svolge varie funzioni. La prima, quella fondamentale, consiste nel riferire i fatti: dire ai lettori, giorno dopo giorno, quel che succede. I fatti devono esere riferiti con onestà senza secondi fini politici o d’altra natura. Il giornale (se è un buon giornale indipendente), spiega poi ai lettori perché succede quel che succede: e per definire questa seconda funzione gli americani hanno trovato un nome specifico, news analysis. Infine, il giornale può esprimere un giudizio su quel che è succede: e questa terza funzione è l’opinione, interessante ma non obbligatorio (il grande Sechi insegnava a separare i fatti dalle opinioni). Dunque, tre funzioni distinte: dire quel che succede, spiegare perché succede, dire se è un bene o un male che sia successo. Vogliamo fare un esempio? Prendiamo il caso Benigni. I partiti dell’Unione lo hanno espulso dal partecipare alle “Primarie cittadine”.

Un buon giornale indipendente riferirà l’episodio, e le conseguenze, con abbondanza di particolari. Perché hanno espulso Benigni? Per rispondere, il giornale indagherà nella sua biografia, descriverà la sua posizione politica, porrà domande a lui stesso e a chi lo conosce. Anche l’analisi deve essere obiettiva, vale a dire onesta. Infine: i partiti dell’Unione hanno fatto bene o hanno fatto male? La risposta sarà l’opinione, che non è più dettato dalla deontologia giornalistica: il direttore ha la facoltà di decidere come meglio crede.

Le preferenze, i giudizi, le scelte di campo sono dunque lecite nell’opinione, non nella cronaca o nella news analysis. Dopo tanti anni di pane e carta stampata credo di sapere quanto sia radicato, lo scetticismo sull’obiettività dei giornali. Poiché ognuno innegabilmente, racconta i fatti come li vede, si pensa che il/la giornalista farà sempre una cronaca colorata, in pratica tendenziosa. Ma questo accade se il/la giornalista è animato/a da passioni politiche o religiose e non tutti i giornalisti lo sono. Nel buon giornalista l’orgoglio professionale, il gusto dell’onestà, deve superare notevolmente le preferenze politiche o religiose, ammesso che ne abbia. La prima ambizione di un giudice onesto è di emettere sentenze giuste, non gettare in carcere chi gli sta antipatico: e tutti sanno che i giudici onesti esistono. Perché non dovrebbero essere onesti i giornalisti, con l’ambizione di fare bene il proprio mestiere?

L’editoriale di Mieli ha precisato che la scelta del giornale “non impegna l’intero corpo di editorialisti e commentatori”, e quest’affermazione è stata criticata dal comitato di redazione. Ma il comitato di redazione, in questo caso ha torto. In un buon giornale indipendente è bene che i collaboratori di varia estrazione siano liberi di esprimere le proprie opinioni, anche quando siano in contrasto tra di loro.

L’affermazione del comitato nasce da un equivoco. Mieli parlava di “editorialisti”, e ad essere precisi gli “editoriali”, a differenza degli altri “commenti”, impegnano il giornale. Tutto sommato, secondo il mio modesto parere, Mieli ha fatto bene a prendere posizione.

Per finire, credo di aver esposto, quelli che a me sembrano giudizi semplici, elementari. In Italia (e credo anche nella nostra città) fanno scaldalo. In altri paesi sono cose ovvie. Un lettore del Der Spiegel non perderà la fiducia nel suo giornale se questo dirà che preferisce il candidato A o il candidato B nelle elezioni nazionali.

Si arriverà mai a tanto anche in Italia?
Sarebbe un bel giorno.

24/03/2006





        
  



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