Ancora sull'indipendenza dei giornali
Acquasanta Terme | Alcune riflessioni in più sull'articolo a firma di Armata
di Giuseppe Orsini
Un direttore certamente può scegliere con chi stare. In Italia c’è libertà stampa. Non “malgrado”, ma “anche grazie” a chi ci governa. Nonostante gli inutili vincoli pre-elettorali, non imposti dal Governo in carica. Era ora che Mieli dichiarasse che il suo giornale è schierato a sinistra. Lo è dai tempi di Ottone, quando Montanelli se ne andò per fondare il Giornale nuovo.
Il Nocciolo della questione. Ogni giornale deve (meglio: dovrebbe) dividere i fatti dalle opinioni. L’opinione è libera. Ovvio. Parliamo dei fatti. Un fatto può essere pubblicato o ignorato. Un giornale libero da condizionamenti pubblica ogni fatto con il suo giusto risalto. Questa garanzia può essere data solo da media in mano ad editori puri. Lanfranco Vaccai descriveva così la mission della stampa (9 marzo 2006 - Secolo XIX): "Non si tratta di inseguire il mito dell’obiettività (che non esiste), ma di perseguire il metodo dell’onestà intellettuale, lasciando da parte le proprie convinzioni religiose o politiche. Il buon giornalista deve sforzarsi di essere un distaccato spettatore degli avvenimenti, non un attore coinvolto o, ancor meno, un tifoso accanito".
Troppi giornali sono in mano a potentati economici o ideologico-politici. Esempi. La Stampa è legata alla FIAT. L’Espresso e Repubblica sono legati a De Benedetti ed alla sinistra. L’Unità è legata ai DS . . . Nel pubblicare un fatto che contrasta con l’interesse o l’ideologia dell’editore o dell’azionista di riferimento, il direttore può dare al fatto il giusto rilievo, relegarlo nelle pagine interne o ignorarlo del tutto. Insomma: lo pubblica tout court o gli mette la sordina? Un fatto negativo che tocca un avversario in affari o in politica viene pubblicato come merita o viene enfatizzato? Ciò detto, parliamo del caso italiano più eclatante: il Corriere della Sera. Famosissimo lo “scoop” (così venne chiamata una indubbia soffiata) dell’avviso di garanzia del 22 novembre 1994 al presidente del Consiglio dell’epoca mentre coordinava a Napoli la Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla criminalità organizzata.
L’informazione arrivò tramite la prima pagina del Corriere della Sera nel momento di maggiore esposizione mediatica mondiale. Perché non vennero usati i canali ufficiali? Il Premier stava fuggendo in Libano? Le conseguenze sono note. Per un fatto risultato penalmente irrilevante. Altro fatto. Come ha trattato il Corriere i recenti disordini di Corso Buenos Aires a Milano? Non mi pare abbia dato loro il giusto rilievo e la giusta esecrazione.
Non serve chiedersi cosa pensa un lettore se Der Spiegel dichiara di preferire il candidato A o il candidato B.
Il problema è di autorevolezza ed indipendenza. Un giornale autorevole pubblica il fatto così com’è avvenuto. In modo nudo e crudo. Senza chiedersi: Cui prodest? A chi giova? Se decide di pubblicare dicerie, “avvisi di garanzia ad orologeria” o di sostenere un gruppo politico per motivi di lobbing, è un altro discorso.
RCS - MediaGroup
E’ bene, sapere cosa è la RCS MediaGroup che controlla il Corriere delle Sera. Il 63,527% del capitale ordinario è controllato da un Patto di Sindacato di Blocco e Consultazione, i cui azionisti – secondo Consob (5 agosto 2005) - sono: Mediobanca (13,26%, rappresentata da Gabriele Galateri di Genola), Fiat Partecipazioni S.p.A. (10,29%, Franzo Grande Stevens), Gruppo Italmobiliare (7,07%, Giampiero Pesenti), Fondiaria - SAI S.p.A. (5,05%, Salvatore Ligresti), Dorino Holding S.A. (4,81%, Diego Della Valle), Pirelli & C. S.p.A. (4,81%, Marco Tronchetti Provera), Banca Intesa S.p.A. (4,77% - Corrado Passera), Generali Assurances Vie SA (3,59% - Raffaele Agrusti), Capitalia S.p.A (2,02%, Cesare Geronzi), Sinpar S.p.A. (1,89%, Luigi Lucchini), Merloni Invest S.p.A. (1,52%, Francesco Merloni), Mittel Partecipazioni Stabili S.r.l. (1,24%, Giovanni Bazoli), ER.FIN. S.p.A. (1,19%, Roberto Bertazzoni), Edison S.p.A. (1,01%, Umberto Quadrino), Gemina S.p.A. (1,01%, Cesare Romiti).
Ecco cosa dice Roberto Seghetti, membro della giunta della Fnsi (Federazione Nazionale della Stampa Italiana): «Risulta evidente anche ai bambini che in questo salottone della finanza italiana hanno un ruolo di primo piano Capitalia di Cesare Geronzi e di Matteo Arpe, Unicredito di Alessandro Profumo, il gruppo assicurativo di Ligresti e Banca Intesa di Giovanni Bazoli e Corrado Passera, oltre che al gruppo di Pesenti e alla famiglia Agnelli. Sono costoro che oggi rappresentano i punti di forza del patto di sindacato del Corsera».
RCS nel 2001/ 2002 ha perso complessivamente 384 milioni di euro (quasi 744 miliardi di lire); nel 2003/2004 ha avuto utili complessivi di 123 milioni di euro (circa 238 miliardi di lire).
E’ ovvio pensare che simili imprenditori (non romantici poeti) si attendano ritorni. Se non in termini di dividendi, in qual modo?
Se hanno investito tanto in RCS nonostante perdite o scarsi utili, qualche motivo ci sarà.
Risultati ben differenti, non solo economici, vengono forniti dal Gruppo Mediaset-Mondadori il cui core business è l’editoria. Mediaset produce ottimi utili: 550 milioni nel 2004 e oltre 603 milioni di euro nel 2005.
Conclusione. Per procurare utili un editore puro deve soddisfare la clientela, non il suo azionista. Diversamente perderebbe lettori, ascoltatori e pubblicità. Utili in sostanza. La differenza di mission e risultati con RCS è sostanziale. Oltre che evidente.
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27/03/2006
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