Là dove osavano le foglie di lattuga
San Benedetto del Tronto | Tempo fa, Edmondo Berselli ha scritto che il nostro paese, tra le tante banalità, annovera il lamento di ogni post quarantenne che è testimone, nella sua storia di vita, di almeno un campo dinsalata trasformato in periferia urbana.
di Renato Novelli
Sarà banale, ma oggi me ne vado a zonzo, nei campi d’insalata della mia banale adolescenza.
Nel mio o meglio nel nostro caso, i campi d’insalata si sono trasformati in un serial di eco – mostri che ora occupano i nostri luoghi come i Ciclopi del mito classico occuparono i versi dell’Odissea.
Imbocco Viale De Gasperi e guardo in profondità con gli occhi verso l’alto.
La prospettiva è maestosa e terribile. Le file dei palazzi sono involontariamente geometriche, volontariamente solide ed altissime. Le torri inafferrabili di Blade Runner o di Guerre Stellari. Si può scegliere. Comunque, un esempio del disordine edilizio, per paradosso qui ordinato. Prevale oggi, l’ idea di un grande complotto centrale di stampo massone fondato sul familismo amorale (amici e parenti si scambiano favori anche contro l’interesse collettivo).
Forse, al contrario, si è trattato di un processo ad oasi. Nel deserto si formano piccole condense di umidità, che diventano gocce, che scavano solchi, che diventano vettori di rigagnoli, che fanno crescere arbusti, che creano le condizioni per l’invasione benefica delle palme, che arricchiscono e perpetuano le fonti dell’acqua. L’oasi si forma in migliaia di anni, qui ne sono bastati dieci o poco più, perché il Viale per eccellenza, fosse costruito, squassasse il paesaggio precedente e diventasse il centro di un’intera area di sviluppo caotico. Dietro le licenze rilasciate, vi fu la mano invisibile di cui parlò Adam Smith, che funzionava come legge suprema del mercato, mentre qui ha funzionato come madre di tutte le economie impure, intrecciate al rapporto con la società amministrativa.
Via Sabotino e Via Monte San Michele, tagliano Il Viale, non solo in senso fisico. Lungo queste due vie, è ancora vivo il ricordo dei campi d’insalata. Vengono incontro al passeggiatore in Via Sabotino, le case familiari, costruite piano su piano, o l’edilizia soft delle “case dei maestri”, come nelle periferie agricole di tanto tempo fa, che erano fatte di case timide, costruite per convivere con il passo dei contadini e con l’insalata, appunto. In Via Monte san Michele lo sguardo deve selezionare villette anni Cinquanta, alcune eleganti e raffinate, di proprietà di famiglie benestanti o giovani coppie.
Qui il Monte della Croce appare diverso che nel borgo marinaro. Da lì è una collina verde e tondeggiante, come se ne vedono in molti quadri sacri, qui da Sud, mostra tutta la lunga linea di tufo a faglia verticale. Come se un marito scoprisse all’improvviso un segreto mai svelato della moglie. Lo zig – zag di questa passeggiata riporta il passeggero di fronte ad un parcheggio, dove un tempo si giocava a calcio e ben lo ricorda, quando entra in comune ogni mattina Roberto Conti.
Avanti verso Via Voltattorni, si intravede, in Via Bianchi, un traliccio in piena strada. Probabile che fosse lì prima che la strada fosse costruita. Leonardo Bianchi fu un medico illustre dell’Ateneo napoletano. Uno studioso serio, grande maestro. Il suo libro più famoso si intitola “Meccanica del cervello” Chissà se chi ha costruito case e case intorno ad un traliccio lo aveva letto. Via Piemonte nella zona Sud sembra una copia di Viale De Gasperi, ma oltre l’incrocio con Via Monte San Michele, porta i segni di un pluralismo costruttivo, una storia più lunga di Viale De Gasperi.
I palazzi del boom, possiedono accanto le case dei ferrovieri o le case familiari della stessa impronta economica di quelle di Via Sabotino: i risparmi degli anni Cinquanta e l’edilizia pubblica popolare. Invertita la rotta mi ritrovo in Via Toscana. Qualche albero privato per lo più, dopo la chiesa, poi palazzi ed auto. Chissà come erano i viottoli dei campi d’insalata. Ha ragione Berselli, piangere sull’insalata perduta, fa un po’ ridere e indica un campo (per rimanere nella metafora agricola) molto ristretto di pensiero. In fondo, Hanna Arendt ha scoperto la banalità del male parlando dell’annientamento dell’individuo dei campi di sterminio, Enrico Deaglio parla della banalità del bene come positivo nel raccontare il caso Perlasca, che salvò migliaia di Ebrei a Budapest.
Noi scopriamo con Berselli la banalità della nostalgia. Ma soprattutto la banalità del cataclisma a rallentatore che ha mutato il volto dell’Italia intera. Ho pensato che su questa area si dovrebbe intervenire con programmi efficaci e tecnici capaci per far si che i palazzi parlino ai turisti come le pietre di Roma parlavano a Goethe, che si potrebbe pensare ad un museo di percorsi a cielo aperto sugli anni Sessanta, visto che tutti parlano della politica e dell’economia industriale di quel periodo e nessuno del mondo reale della fine dell’Italia rurale (salvo Pasolini che ne era ossessionato). Oppure altro, quel che volete.
Ma non credo che qualcuno raccolga questa modesta riflessione. I passeggiatori occasionali come me, camminano adagio, svogliati, con le mani in tasca. Non hanno fretta. Si ispirano al romanzo di Knut Hamsun “Un viandante canta in sordina” visto che hanno passato la cinquantina.
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19/08/2006
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