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Due anni di Tsunami

San Benedetto del Tronto | Renato Novelli traccia un quadro abbastanza lineare a due anni dal disatro.

di Renato Novelli


Dicembre 2006: Bill Clinton è arrivato in Tailandia come inviato speciale di Kofi Annan per verificare la ricostruzione nelle aree colpite dal Tsunami. Articolo speciale:ha visitato uno dei 33 villaggi dei Nomadi del mare, popolazione che vive su barche senza fissa dimora. A Mezzogiorno di quel 26 Dicembre 2004, tutti li davamo per morti. Si erano salvati perché il loro sentire che è anche conoscenza tradizionale, animista e misterica li aveva salvati. Ma Clinton non ha discusso di questo. Il villaggio che ha visitato è una delle mete turistiche dell’isola di Phuket.

I nomadi che lui ha incontrato non sono più nomadi da trenta anni. Il sign. John De Laurent pone, sul quotidiano The Nation di Bangkok all’ex Presidente, tre domande:
1) Perchè a due anni dal Tsunami solo il 30% dei senza casa è stato reistallato in abitazioni vere e proprie ?
2) Come sono stati usati i fondi e quanto denaro rimane ?
3) Perché gli aiuti si sono impantanati in deplorabili lentezze ?

Tutti i quotidiani dell’Asia in questi giorni di anniversario, pubblicano articoli di denuncia. Il Tsunami non ha solo travolto e ucciso quasi 300.000 persone, ma continua a travolgere e a colpire i programmi di aiuto. Troppi problemi ingovernabili per rivendicare un successo alla imponente macchina di aiuti messa in campo per la ricostruzione.

Un bilancio deve essere tentato, comunque. Forse il segreto del disordine sta proprio nello stesso termine ricostruzione. I nomi hanno un senso profondo e quando le organizzazione internazionali insieme ai grandi paesi donatori hanno scelto la parola ricostruzione, hanno rivelato i limiti delle loro operazioni. Non di ricostruzione si sarebbe dovuto parlare, ma di assistenza alla promozione di una nuova organizzazione sociale ed economica che solo le comunità colpite avrebbero potuto e dovuto scegliere, programmare, costruire.

Il Tsunami era stato troppo sconvolgente perché si potesse pensare a tornare alla situazione precedente. Non solo a parole. Il sistema di aiuti ha investito le comunità di interventi giganteschi, con migliaia di cooperanti, esperti, volontari senza tenere conto della reazione positiva delle popolazioni locali e senza registrare la mobilitazione della società civile locale. Il vecchio vizio del welfare occidentale di considerare i deboli come soggetti da prendere per mano e non come soggetti capaci di iniziativa, ha tarato gli aiuti e la buona volontà.

Il sistema di monitoraggio dei maremoti nell’Oceano Indiano è stato ripreso da quello operante nel Pacifico. Ma l’Oceano Indiano è diverso dal Pacifico. Il sistema è molto costoso e non ci sono due potenze tecnologiche come USA e Giappone a fare da capofila scientifico e finanziario. Il coordinamento è governato dall’Unesco di Parigi, che notoriamente non si affaccia sull’Oceano Indiano. L’allarme è efficiente, ma come arrivi nei singoli villaggi, è un nodo non risolto. Manca un’ipotesi di organizzazione locale per rendere effettivo l’allarme.

Le ricostruzioni in ogni singolo paese hanno prodotto situazioni opposte: ad Aceh, pace tra movimento indipendentista e governo indonesiano, nuove elezioni vinte dagli indipendentisti pochi giorni fa e nuovi conflitti politici, non più armati, sulle modalità degli interventi.
In Tailandia la nuova centralità del vecchio turismo nel quale i piccoli pescatori ed operatori non trovano posto.

In Sri Lanka i fondi hanno prodotto una nuova feroce fase di guerra tra il governo e i ribelli Tamil. Il Tsunami e le conseguenze sconvolgenti potevano dare luogo ad esperimenti di economia locale legata al mercato internazionale. Le comunità avevano dimostrato nei giorni del disastro di essere in grado di divenire protagoniste della loro disgrazia. Le società nazionali avevano visto l’improvviso apparire e rapido sviluppo di una società civile collegata con reti tecniche di intervento rispettose delle domande locali e non ideologiche.

Forse ci voleva meno bontà, meno buoni propositi creativi e un maggiore rispetto delle domande emergenti dai sopravvissuti. Non sta andando così, per un semplice fatto: i paesi donatori, i soggetti della solidarietà non sanno osare una dose in più di democrazia planetaria. Chissà quanto tempo ancora durerà l’onda del Tsunami….

28/12/2006





        
  



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