Proclamato un pacchetto di otto ore alla BARILLA di Ascoli Piceno
Ascoli Piceno | E' stato indetto dalla R.S.U. dello stabilimento, a fronte di prese di posizione unilaterali dellazienda circa lorganizzazione del lavoro ed il recupero di personale sulle linee di produzione, con conseguente aumento dei carichi di lavoro.
“Proclamato un pacchetto di otto ore di sciopero, di cui le prime due per mercoledì 14 c.m., alla BARILLA di Ascoli Piceno. L’iniziativa di lotta, cui si aggiunge anche il blocco delle prestazioni lavorative in flessibilità, turni aggiuntivi domenicali ed ogni altra forma di lavoro straordinario, è stato indetto dalla R.S.U. dello stabilimento, a fronte di prese di posizione unilaterali dell’azienda circa l’organizzazione del lavoro ed il recupero di personale sulle linee di produzione, con conseguente aumento dei carichi di lavoro. Scontro anche sul tema dello sviluppo professionale”
La R.S.U. dello stabilimento BARILLA di Ascoli Piceno ha proclamato un primo pacchetto di otto ore di sciopero, di cui le prime due da svolgersi mercoledì 14 c.m., in aggiunta al blocco totale delle prestazioni lavorative in regime di flessibilità, turni aggiuntivi domenicali ed ogni altra forma di lavoro straordinario, a sostegno della vertenza aperta con l’azienda, “sorda” ad ogni sorta di sollecitazione alla concertazione proposta a più riprese dall’organo sindacale interno, su temi rilevanti quali la nuova organizzazione del lavoro, ed il percorso che dovrebbe portare ad un riconoscimento di un più alto inquadramento professionale frutto di un percorso di sviluppo da attuare in stabilimento, che è atteso da tempo dai lavoratori e del quale oggi l’azienda disconosce anche le promesse fatte in precedenza.
Il tutto avviene ad un anno e qualche mese dalla firma di un contratto integrativo aziendale molto oneroso per i lavoratori in termini di apertura ad un nuovo modello organizzativo, più flessibile (in pratica ad Ascoli l’azienda può produrre 21 turni settimanali, quindi compreso non solo i sabati ma anche tutte le domeniche, sic!) e meno remunerato, che i lavoratori hanno obtorto collo accettato insieme alla restrizione di diritti e forme contrattuali favorevoli accumulati in quasi cinque lustri di contrattazione, a fronte di un rilancio dello stabilimento in termini di nuove produzioni e di una stabilizzazione occupazionale.
Di fatto, l’investimento per una nuova linea di produzione, per cui erano stati stanziati nel suo complesso circa 15 milioni di euro, sta andando avanti, ma quello che è grave è che l’azienda, da come si sta comportando, pensa di riuscire ad occuparvi solo forza lavoro recuperata dalle altre quattro linee di produzione dello stabilimento. Ciò comporterebbe, oltre ad un aumento dei carichi di lavoro per quanti attualmente operano su dette linee, anche il fallimento dell’obiettivo principale che sindacati e lavoratori si erano prefissi, quale quello di stabilizzare una quota di lavoratori precari (sono circa una cinquantina in media, i giovani – molte le donne -, che sono chiamati al lavoro con i più disparati contratti atipici: a tempo determinato, a tempo determinato part-time, stagionale, interinale), che da anni lavorano ad intermittenza (l’azienda è arrivata a fare assunzioni di soli due giorni!) in stabilimento.
Ciò francamente non è più accettabile. Ciò è uno scandalo, purtroppo permesso da leggi e contratti di lavoro. Il tutto, in un’azienda che produce reddito (buona parte del quale poi buttato al vento: vedasi l’affaire Kamps, gruppo alimentare tedesco acquisito dalla Barilla insieme alla ex Bpi di Lodi del tristemente noto Giampiero Fiorani, che si è rivelato essere un autentico bidone, con perdite che mettono a rischio anche il gruppo parmense), in uno stabilimento, quello ascolano, nel quale gli indici di produttività sono alti, così come la professionalità, la serietà e la dedizione al lavoro dei dipendenti (sino a qualche tempo fa, Ascoli deteneva la migliore performance in termini di più bassa percentuale di assenteismo di tutto il gruppo Barilla). Uno stabilimento che è passato, nel corso dei suoi oramai 25 anni di storia, dagli oltre 300 occupati ai circa 230 odierni, a causa del blocco del turn-over (chi è andato in pensione non è stato mai rimpiazzato, se non con lavoratori precari), e di una recente procedura di mobilità ancora non chiusa.
Tutto ciò per dire che, se vogliamo parlare di concertazione o di volontà di confronto, crediamo che i lavoratori della Barilla di Ascoli hanno dimostrato ampiamente ed a più riprese la propria volontà, consci del valore intrinseco ed estrinseco di tale metodo contrattuale. Quello che i lavoratori rifiutano e per il quale si batteranno anche duramente, è invece il metodo unilaterale messo in atto dall’azienda, che quando le conviene si riempie la bocca di concertazione ed importanza della ricerca del consenso (noi lo sappiamo che le risorse umane sono alla base della crescita e dello sviluppo di ogni azienda, ma sentirselo dire da chi poi attua comportamenti che vanno in tutt’altra direzione, suona un po’ come presa in giro…), quando invece si rende conto che non può spuntarla, allora torna ai vecchi metodi unilaterali e coercitivi.
Se è il conflitto ad essere auspicato, conflitto sarà. Senza esclusione di mezzi e strumenti, ovviamente democratici, di cui i lavoratori fortunatamente, nonostante cinque anni di governo Berlusconi, ancora dispongono.
I dirigenti della Barilla di Ascoli Piceno non hanno ancora purtroppo capito la differenza che passa tra autoritarismo ed autorevolezza: il primo si impone, l’altra invece si guadagna sul campo. Peccato però che detti dirigenti dimostrano ogni giorno e sempre di più di non conoscere il “campo” sul quale misurarsi, ma soprattutto di non conoscere quanti lo coltivano e danno loro da mangiare (…e bene!)
La R.S.U. dello stabilimento BARILLA di Ascoli Piceno ha proclamato un primo pacchetto di otto ore di sciopero, di cui le prime due da svolgersi mercoledì 14 c.m., in aggiunta al blocco totale delle prestazioni lavorative in regime di flessibilità, turni aggiuntivi domenicali ed ogni altra forma di lavoro straordinario, a sostegno della vertenza aperta con l’azienda, “sorda” ad ogni sorta di sollecitazione alla concertazione proposta a più riprese dall’organo sindacale interno, su temi rilevanti quali la nuova organizzazione del lavoro, ed il percorso che dovrebbe portare ad un riconoscimento di un più alto inquadramento professionale frutto di un percorso di sviluppo da attuare in stabilimento, che è atteso da tempo dai lavoratori e del quale oggi l’azienda disconosce anche le promesse fatte in precedenza.
Il tutto avviene ad un anno e qualche mese dalla firma di un contratto integrativo aziendale molto oneroso per i lavoratori in termini di apertura ad un nuovo modello organizzativo, più flessibile (in pratica ad Ascoli l’azienda può produrre 21 turni settimanali, quindi compreso non solo i sabati ma anche tutte le domeniche, sic!) e meno remunerato, che i lavoratori hanno obtorto collo accettato insieme alla restrizione di diritti e forme contrattuali favorevoli accumulati in quasi cinque lustri di contrattazione, a fronte di un rilancio dello stabilimento in termini di nuove produzioni e di una stabilizzazione occupazionale.
Di fatto, l’investimento per una nuova linea di produzione, per cui erano stati stanziati nel suo complesso circa 15 milioni di euro, sta andando avanti, ma quello che è grave è che l’azienda, da come si sta comportando, pensa di riuscire ad occuparvi solo forza lavoro recuperata dalle altre quattro linee di produzione dello stabilimento. Ciò comporterebbe, oltre ad un aumento dei carichi di lavoro per quanti attualmente operano su dette linee, anche il fallimento dell’obiettivo principale che sindacati e lavoratori si erano prefissi, quale quello di stabilizzare una quota di lavoratori precari (sono circa una cinquantina in media, i giovani – molte le donne -, che sono chiamati al lavoro con i più disparati contratti atipici: a tempo determinato, a tempo determinato part-time, stagionale, interinale), che da anni lavorano ad intermittenza (l’azienda è arrivata a fare assunzioni di soli due giorni!) in stabilimento.
Ciò francamente non è più accettabile. Ciò è uno scandalo, purtroppo permesso da leggi e contratti di lavoro. Il tutto, in un’azienda che produce reddito (buona parte del quale poi buttato al vento: vedasi l’affaire Kamps, gruppo alimentare tedesco acquisito dalla Barilla insieme alla ex Bpi di Lodi del tristemente noto Giampiero Fiorani, che si è rivelato essere un autentico bidone, con perdite che mettono a rischio anche il gruppo parmense), in uno stabilimento, quello ascolano, nel quale gli indici di produttività sono alti, così come la professionalità, la serietà e la dedizione al lavoro dei dipendenti (sino a qualche tempo fa, Ascoli deteneva la migliore performance in termini di più bassa percentuale di assenteismo di tutto il gruppo Barilla). Uno stabilimento che è passato, nel corso dei suoi oramai 25 anni di storia, dagli oltre 300 occupati ai circa 230 odierni, a causa del blocco del turn-over (chi è andato in pensione non è stato mai rimpiazzato, se non con lavoratori precari), e di una recente procedura di mobilità ancora non chiusa.
Tutto ciò per dire che, se vogliamo parlare di concertazione o di volontà di confronto, crediamo che i lavoratori della Barilla di Ascoli hanno dimostrato ampiamente ed a più riprese la propria volontà, consci del valore intrinseco ed estrinseco di tale metodo contrattuale. Quello che i lavoratori rifiutano e per il quale si batteranno anche duramente, è invece il metodo unilaterale messo in atto dall’azienda, che quando le conviene si riempie la bocca di concertazione ed importanza della ricerca del consenso (noi lo sappiamo che le risorse umane sono alla base della crescita e dello sviluppo di ogni azienda, ma sentirselo dire da chi poi attua comportamenti che vanno in tutt’altra direzione, suona un po’ come presa in giro…), quando invece si rende conto che non può spuntarla, allora torna ai vecchi metodi unilaterali e coercitivi.
Se è il conflitto ad essere auspicato, conflitto sarà. Senza esclusione di mezzi e strumenti, ovviamente democratici, di cui i lavoratori fortunatamente, nonostante cinque anni di governo Berlusconi, ancora dispongono.
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13/02/2007
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