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Latini: “Nella scuola del futuro meno ore e più opzioni”

San Benedetto del Tronto | Il prof. Nicola Latini è laureato in Agraria all’Università di Perugia e ha insegnato per 18 anni prima di intraprendere la carriera di Dirigente Scolastico nel 1988, passando dagli Istituti Commerciali al Liceo Scientifico, nel 2002 approda all’IPSSAR.

di Francesco Tranquilli

Latini

L’Istituto Professionale Statale per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione conta 860 iscritti, suddivisi fra le 33 classi dei corsi antimeridiani e le tre del corso serale. Offre tre indirizzi: Cucina, Sala Bar e Ricevimento. I servizi dei suoi alunni sono spessissimo richiesti in occasione di manifestazioni pubbliche in ambito regionale.

Qual è la funzione della scuola nella società odierna (visto che all’opinione pubblica appare come il ricettacolo di quasi ogni male e disfunzione, e al tempo stesso le si accolla la riparazione di tutti i guasti della società, per cui ogni cosa che i ragazzi non sanno o non fanno è perché non si impara a scuola.).
Noi che nella scuola ci lavoriamo dovremmo saperlo bene, a cosa serve. Guai se ce lo scordiamo. Io credo che malgrado tutto ancora la scuola riesca a fornire e ai ragazzi cose che gli saranno utili per inserirsi nel mondo del lavoro e nella società, anche se sul momento magari loro non se ne rendono conto; ci vorrà tempo, anni, prima che possano davvero apprezzarlo. Comunicare, elaborare le informazioni, sono competenze sempre più essenziali. Purtroppo non sempre l’istituzione scolastica è supportata al meglio da chi dovrebbe. Né dallo stato, né dalle famiglie.

Com’ è cambiata la scuola pubblica negli ultimi 15-20 anni, vista dall’interno. In meglio o in peggio?
In vent’anni la popolazione scolastica è mutata. Basti pensare al numero e al tipo di distrazioni che i ragazzi hanno a disposizione, che fanno diminuire la voglia d’impegnarsi per la scuola. Una volta i telefonini non esistevano, nelle case al massimo c’era un televisore e i genitori potevano indirizzare i figli sulle trasmissioni da seguire. Oggi invece ognuno vede ciò che vuole in camera sua, l’offerta è infinita. Da quando poi è arrivata Internet, per i genitori è sempre più difficile incanalare i propri figli e dar loro un’impronta. Se non fosse per la grande flessibilità e abnegazione della maggior parte degli operatori scolastici, che danno del loro meglio pure in condizioni oggettivamente sempre più critiche, le cose andrebbero ancora peggio. In Italia forse meno che in altri paesi, grazie all’abitudine a “tirare avanti”, una virtù tutta nostra.

A cosa serve oggi un insegnante, (visto che l’informazione è “virtualmente” alla portata di tutti.
Premettiamo che una volta andare a scuola era la via d’uscita da una situazione sociale o familiare spesso difficile. Diventare perito è già qualcosa, una laurea era un lavoro sicuro,. La scuola garantiva un avanzamento sociale, oltre che culturale. E oggi? Quali garanzie ha chi studia? Se la scuola perde la sua centralità, anche l’insegnante “conta” meno per l’opinione pubblica.

Problemi disciplinari: quali e quanti sono, come vengono affrontati e con quali risultati?
Qui ci sono più problemi che in altri Istituti,; purtroppo c’è l’idea che nei professionali si studia di meno, e i ragazzi arrivano con questo preconcetto. Cambiarlo è difficile, e l’insegnante si trova a volte in serie difficoltà per questo. Allora bisogna far ricorso, per gestire le classi, per cercare di svolgere ugualmente il proprio lavoro, alla propria autorevolezza; dare, insomma, il buon esempio.

Qual è la differenza fra l’autorità e l’autorevolezza? Può fare un esempio?
L’autorevolezza viene dalla professionalità. Conoscere la materia, sì, ma anche saperla trasmettere. Essere oggettivo, trasparente e motivato nel valutare, in modo da non lasciar trapelare disparità di voto dettate da fattori contingenti, tipo “mi dai fastidio e te la faccio pagare abbassandoti il voto”. Verso questo aspetto i ragazzi sono sensibilissimi. E siccome spesso nelle nostre classi i ragazzi disimpegnati sono numerosi, guai a dar loro il pretesto di contestare l’insegnante perché non amministra – a loro dire – in maniera serena le valutazioni.

Ma se l’insegnante è inappuntabile per competenze professionali, puntualità, rispetto degli impegni, correttezza nei rapporti (che rispetto pretendiamo se diamo ai nostri alunni dell’imbecille, o peggio?), allora è anche autorevole. Ciascuno di noi ha memoria degli insegnanti che ha avuto, e sa quindi distinguere benissimo un insegnante interessante da uno incomprensibile e noioso.

Se andiamo a una conferenza è il relatore non è bravo, ci annoiamo e ce ne andiamo. Se a messa il predicatore è prolisso e retorico, cambiamo chiesa. Va poi ricordato che in Italia manca un sistema serio di preparazione all’insegnamento. Questo è un mestiere difficile, e certo non si impara nei corsi abilitanti o in quelli universitari. Come ci si rapporta con la classe, come la si “interessa”, come si affrontano i problemi contingenti, queste cose non ce le insegna nessuno. Certo, se poi entriamo in aula e ci limitiamo a dire “bene, oggi facciamo da pagina uno a pagina trenta”, allora sono capaci tutti.

Quanto collaborano i genitori all’educazione dei ragazzi, e quanto invece la” intralciano”?
I genitori oggi collaborano meno di una volta con al scuola; forse questo non vale per ogni tipo di scuola, ma spesso si ha l’impressione che le famiglie deleghino l’educazione dei propri figli a delle “agenzie” esterne, come appunto la scuola, o la tv, addirittura. Ma a scuola i ragazzi stanno solo sei ore al giorno. E anche Internet, spesso è usata in modo acritico e passivo, per scaricare una canzone o un video. E’ un momento difficile, di transizione.

“Scuola-azienda”, si diceva qualche anno fa (pochi): ma non sono due istituzioni radicalmente opposte?
A questo slogan non ho mai creduto. Un azienda che produce chiodi, per dire, è”facile” da gestire. Se la produzione aumenta, se le vendite crescono, è tutto ok. Ma noi non produciamo chiodi. Possiamo però “produrre” progetti. Siamo stati di recente in Inghilterra per un progetto europeo, e il preside di quella scuola ci spiegava che gli istituti godono di maggior o minor considerazione sul “mercato” dell’istruzione in base ai progetti che intraprendono, e in base a questo ottengono maggiori finanziamenti pubblici. Anche i dati statistici hanno una grande importanza, per esempio il tasso di abbandoni, il numero di corsi integrativi e di sostegno attivati, la percentuale dei passaggi alle classi superiori, il numero di iscritti; sono tutti parametri che possono rendere un istituto più o meno “competitivo” rispetto agli altri.

La cosiddetta “autonomia” scolastica, che è ancora applicata in maniera limitata, ha introdotto un principio di “concorrenza” fra le scuole, e in questo senso ciascuno deve sapersi ritagliare e garantire una fascia di “mercato”. Ma autonomia è a che responsabilità nella gestione delle risorse disponibili, valutando i punti di forza e di debolezza del sistema. La scuola, in fondo, è un organismo più complesso di un’azienda. Certo, lo stato non può trascurare di fornire risorse adeguate. Noi come scuola possiamo muoverci a reperire risorse “dall’interno”, e porto ad esempio solo il bar didattico, che ci consentono di raddoppiare i fondi che lo stato ci mette a disposizione, reinvestendoli in attrezzature per i ragazzi. Una scuola ben attrezzata e dinamica può essere più stimolante.

Un software ben fatto può stimolare l’interesse alla matematica. I progetti europei possono appassionare i ragazzi alle lingue straniere, ai viaggi. Anche le famiglie, si spera, guardano con maggior rispetto una scuola moderna. Credo anche che, per quanto riguarda i curricula, sia necessario differenziare di più, diminuendo il numero di ore (e di materie) obbligatorie e aumentando quelle opzionali, come in altri paesi.

La scuola del futuro va in questa direzione. Noi ci stiamo muovendo in questo senso con le classi del percorso integrato. In certi casi è del tutto inutile infliggere ad un ragazzo duemila ore di italiano storia matematica eccetera per fargli avere un diploma. Farà duemila ore di cucina, avrà una qualifica di formazione professionale, e sarà lo stesso un bravo cuoco. A qualcun può sembrare una discriminazione fra “buoni” e “cattivi”, ma la scelta è sempre reversibile, e bisogna fare i conti con la realtà. Non c’è discriminazione se i ragazzi scelgono liberamente.

Perché un ragazzo dovrebbe iscriversi a questo Istituto e non ad un altro?
Il turismo è un settore in continua espansione. Possedere qualifiche professionali u questo campo è forse più utile oggi che non in campo meccanico dove indiani e cinesi ci danno punti. Chi va al liceo si trova davanti un percorso lungo e difficile, che richiede fortissima motivazione, e non dà garanzie precise sul futuro. Invece i ragazzi che si iscrivono da noi possono, volendo, lavorare molto anche prima del diploma, d’estate, durante le vacanze. Si può tenersi occupati sempre, da subito. Chi esce dalla nostra scuola per iscriversi all’Università forse non aveva – o non ha – le idee molto chiare.

A parte le risorse finanziarie, come dovrebbe intervenire un governo lungimirante a sostegno dell’Istruzione Pubblica per risollevarne le sorti?
Prima di tutto darci punti di riferimento precisi: le normative e le leggi del nostro settore cambiano in continuazione. Una vera riforma strutturale dai tempi di Gentile non c’è più stata. Gli stessi insegnanti vedono diminuite costantemente le loro prerogative e gli spazi decisionali, invece di essere tutelati nelle loro funzioni. Lo Stato dovrebbe fornire strumenti più certi, per esempio, per far rispettare le regole. Una volta si poteva essere soggetti a sanzioni disciplinari molto più dure, oggi al massimo quindici giorni di sospensione: ci facciamo ridere dietro.

(Successivamente a quest’intervista il ministro Fioroni ha dettato nuove e più severe linee guida da applicare nelle scuole italiane a questo riguardo, ndr). E comunque le sanzioni andrebbero irrogate con maggiore sistematicità e maggiore equanimità, altrimenti si creano ingiustizie e disparità, fra l’insegnante “tollerante” e quello “intollerante”, per dire.

Poi, certo, c’è il problema di carattere più generale della mancanza del senso delle istituzioni, che pervade la società e che per forza si riflette sui ragazzi, che in maggioranza si fanno un vanto di eludere gli impegni o di trasgredire, come d’altronde vedono fare dagli adulti a tutti i livelli. Per l’italiano medio ormai essere giudicato maleducato o scorretto non è più un problema; e i nostri ragazzi sono figli di questa mentalità

04/04/2007





        
  



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