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Allo Sferisterio va in scena una "norma" tibetana

Macerata | Tra sciamanesimo e simboli indù, dei e demoni un’opera sulle orme di Giuseppe Tucci

La forte spiritualità, la credenza nella reincarnazione, l'esteso politeismo, l'arte della memoria, l'origine nordica legata alla purezza primigenia della stirpe, la struttura sociale a rigide caste solo per citare le principali suggestioni iniziali, hanno gettato uno speciale collegamento con la cultura orientale, legata al buddismo, soprattutto di stampo tibetano, il cosiddetto buddismo tantrico. Questi i caratteri della straordinaria e innovativa Norma, diretta da Massimo Gasparon che verrà rappresentata allo Sferisterio il 28 luglio, con repliche il 1°, 4 e 11 agosto, nell'ambito dello Sferisterio Opera Festival di Pier Luigi Pizzi.


Gasparon precisa: "Questa interpretazione dell'opera Norma, originariamente ambientata nelle Gallie, ha trovato una sua precisa direzione dopo uno studio attento delle tradizioni galliche e celtiche, di quelle romane legate ai miti della natura, svelando inaspettati ed appassionati parallelismi culturali. Certamente simili collegamenti erano stati ipotizzati già nel XIX secolo da Madame Blavatsky che, attraverso viaggi di vari anni, portò per prima in Europa e nel nuovo continente l'immagine di un Tibet e di una India affascinanti e remoti, con misteriose origini che si perdevano nella notte dei tempi e con una convinzione: che tutte le dottrine esistenti nel mondo avessero una comune matrice di stampo teosofico, cioè si rifacessero ad una unica dottrina madre di tutte che più o meno era stata travisata o stravolta nel corso dei secoli". "E attraverso lo studio dei movimenti teosofici in Italia all'inizio del secolo - prosegue Gasparon - abbiamo conosciuto l'opera di uno straordinario studioso che ha un fortissimo legame con lo Sferisterio: il maceratese Giuseppe Tucci che è il più noto tibetologo del XX secolo". La lettura delle opere di Tucci ha aperto scenari inaspettati dove conferme e intuizioni trovano il conforto della scientificità e della storia.


"L'utilizzo di simboli fraintesi - scrive il regista - annientati dal folle movimento politico nazionalsocialista, vedi il simbolo della svastica, oltre che al parallelismo tra le caste indiane, ariane, e le rigide regole di autopreservazione che nelle comunità celtiche vigevano, hanno stimolato la nostra sensibilità nella sfida di trovare la verità attraverso la finzione teatrale". E' una Norma austera e glaciale come lo sono stati i galli nelle loro foreste, all'aperto, in contatto con la divinità attraverso l'elemento Fuoco. Per la religione indiana il dio Agni è il tramite tra gli uomini e gli dei, l'Hermes occidentale. Per questo Gasparon ha voluto utilizzare un grande altare votivo con un fuoco perenne che non si spegne mai, come nelle cripte tibetane.


La rudezza delle inospitali lande orientali ci trasporta quindi verso un luogo di tremendi riti necessari alla storia del nostro spirito. Assicura il regista che con la sua Norma "ci troveremo come Pollione scaraventati in un universo inaspettato, regolato da leggi immutabili, eterne, dove il tempo non conta e non si conta. Dove i gironi sono scanditi dalla luna, dove la Dea madre e come l'indiana Durga e Kali, allo stesso tempo genitrice ed assassina; dove gli dei sono terribili come i demoni. Dove l'origine delle stirpi reali è diversa da quella umana, dove la morte non significa male, quando dona la perfezione e cancella l'errore; dove la magia e l'esoterismo hanno grandissima importanza e regolano la vita di tutti. Dove l'onore e la sincerità hanno un valore assoluto e non commerciabile. Insomma, si tratta di individuare la chiave della dottrina segreta che sta in noi, almeno cercando di fare del nostro spettacolo una liturgia che ci avvicina alla luce universale sfiorando il sublime in preda alla più dolce meditazione.

13/07/2007





        
  



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