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Scuola: perché più sanzioni e disciplina non bastano.

San Benedetto del Tronto | La questione vera, quella della formazione e dell’educazione dei giovani, non può certo ricondursi a un problema di irrigidimento di regole e sanzioni.

di Maria Teresa Rosini

La scuola italiana è in crisi: è questo ciò che si dice da tempo, ciò che indicano i fatti inquietanti ampiamente riportati sui media, ciò che traspare neanche troppo velatamente dal disagio dei docenti, dai giudizi degli utenti, dai commenti degli studenti, ciò che testimoniano le impietose statistiche sulla dispersione scolastica e i dati sconfortanti delle analisi comparate sui risultati di apprendimento.

La valutazione non è concorde su tutti i vari ordini di scuola e se è quasi unanimemente riconosciuto che nella scuola dell'Infanzia e nella primaria le situazioni di problematicità siano meno acute, resta il dato e l'esperienza quotidiana di un intero sistema che non funziona.
Come al solito però, non sembra essere la scuola la priorità, né per la politica, né per la società civile: nessuno ne parla troppo se non per denunciare e creare "audience" sui fatti di cronaca che vi sono ambientati.

Le iniziative intraprese finora del ministro Fioroni sembrano andare soprattutto nel senso di un maggiore rigore "educativo", di un superamento degli atteggiamenti di lassismo e permissivismo che da decenni, tra riforme e contraddizioni, avviluppano il mondo della scuola in strettoie di inefficienza. E questo è anche il sentire di una parte dei docenti, che non vedono l'ora di riappropriarsi di quel potere sanzionatorio del voto e della disciplina attraverso il quale ristabilire anche una propria dignità e considerazione sociale.

Certamente il rigore e il richiamo alle regole è indispensabile di fronte ad atteggiamenti che non è sufficiente definire irrispettosi e che sfiorano, e non solo, l'illegalità.

Ma la questione vera, quella della formazione e dell'educazione dei giovani non può certo ricondursi a un problema di irrigidimento di regole e sanzioni.
Se l'obiettivo, alla luce dell'emergenza posta dalla globalizzazione del mercato del lavoro, è predisporre un percorso di formazione efficace, che ancori alla realtà e al presente i contenuti di studio, che crei menti attrezzate ad una lettura agevole e a risposte flessibili nei diversi contesti, che valorizzi la capacità di elaborazione creativa e di collegamento tra i vari saperi, la strada della rigidità, della stretta e statica osservanza dei contenuti disciplinari non sembra certo la soluzione migliore.

Inoltre una sottolineatura dell'aspetto sanzionatorio, meritocratico e disciplinare, finirebbe per escludere dal percorso scolastico o, almeno dai suoi gradi più elevati, una parte consistente degli individui. Ritorno ad una scuola di elite o per la creazione di una elite intellettuale? Non è il tempo, non esiste più un mercato del lavoro che richieda manodopera a basso livello d'istruzione perché i movimenti migratori offrono un continuo surplus di domanda.

A mio avviso non c'è una soluzione al problema che non passi attraverso una indispensabile riconversione della professione docente.
E' attraverso gli insegnanti, persone concrete e reali, che passa la riqualificazione e l'efficienza della scuola.

Qualunque riforma può risultare vincente o fallire inesorabilmente se non si dà il giusto peso a questa variabile determinante.
E' attraverso di essi che "passano" verso gli alunni, invisibili, ma terribilmente tangibili nei risultati, passione, motivazione, creatività, accoglienza, competenza, promozione di valori, di sentimenti.

I giovani non apprendono solo con il cervello, non sono robot o automi, apprendono con tutto il loro essere e il processo di apprendimento si costruisce innanzitutto a partire da ciò che sono, dalle istanze, dalla sensibilità, dai valori, dalle conoscenze, dalla cultura di cui sono portatori e dalla loro valorizzazione. E' dal dato di partenza che si crea, con un processo di continui e successivi collegamenti e inclusioni, l'universo della conoscenza personale e della realizzazione sociale di un individuo.
Occorre allora chiedersi quali sono le qualità umane e professionali che delineano la figura di un docente che sappia innescare e condurre alla conclusione i processi di cui sopra, e che sappia fare questo non con una minoranza di studenti che per condizione, ceto sociale, minore problematicità psicologica presentino un facile compito, ma con tutti gli studenti.

Cosa deve essere allora un insegnante? Ma soprattutto cosa non deve essere?
Il relegare la professione docente ad un ruolo socialmente svalorizzato, il far sì che l'insegnamento abbia costituito il gradino più basso delle professioni intellettuali, è stata una scelta che ha riversato i propri perversi effetti sui giovani, sul nostro futuro.

La scuola potrà essere efficace, utile al progresso del paese a partire da quanto una nuova figura di insegnante saprà essere delineata, costruita, valorizzata e misurata: non è un lavoro adatto a qualunque persona e non bisogna più consentire che sia un' occupazione-rifugio, altrimenti è inutile ed ipocrita continuare a scandalizzarsi dei comportamenti divenuti quasi la norma nelle nostre scuole.

02/12/2007





        
  



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