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L'importanza della memoria nella costruzione dell'identità: La storia secondo Manfredi.

San Benedetto del Tronto | La lezione di Valerio Massimo Manfredi è affascinante e coinvolgente, la storia antica subisce un approccio inconsueto cui decenni di spesso noiose lezioni scolastiche non ci avevano preparato

di Maria Teresa Rosini

Valerio Massimo Manfredi presenta "L'armata perduta"

Non vi è una sola verità nella storia ma probabilmente molte, come molte sono le storie che nel passato lontano o vicino si intrecciano, si innescano le une con le altre come micce, dominate alla fine da una componente caotica che fa sì che non tutto ciò che gli uomini hanno previsto e pianificato accada.

La lezione di Valerio Massimo Manfredi è affascinante e coinvolgente, la storia antica subisce un approccio inconsueto cui decenni di spesso noiose lezioni scolastiche non ci avevano preparato: intrigo internazionale è definita la vicenda dell'armata di Clearco ( mutuata da Senofonte testimone diretto attraverso la sua "Anabasi") che attraverso le ricerche colte e approfondite dell'autore diviene un romanzo, "L'Armata perduta", in cui emozioni e sentimenti di quegli uomini vissuti migliaia di anni fa ritornano ad interrogarci, a reclamare ascolto.

Non è forse un caso se una vicenda di uomini, di un tipo d'uomini per giunta spregiudicato e violento, cui si fa abitualmente difettare ogni moralità e ogni valore che non sia materiale quali possono essere i mercenari di ogni epoca, venga riletta, immaginata attraverso gli occhi di una donna.

Donne di solito così assenti, così inermi, così inafferrabili nella storia ufficiale da condurci a dubitare della loro stessa esistenza e da decidere di riscriverla.

E' Abira, appunto, la narratrice del romanzo di Manfredi: una giovane che sceglie (in un tempo per le donne assai parco di possibilità di scelta) di partire al seguito dell'esercito legandosi al giovane soldato Xeno, e che riveste di umanità, scandisce il tempo, delinea lo spazio di un' avventura eccezionale e durissima quale quella dell' "armata dei diecimila".

Arruolato con un inganno e destinato a sostenere ben altro compito che sgominare tribù ribelli dell'Impero persiano, l'esercito sarà costretto ad un interminabile e doloroso ritorno privo di garanzie, cui una parte di esso sopravviverà per ritrovare una legittimità e un posto nella storia: variabili incontrollate e impreviste restituiranno allora un senso e un ruolo al loro sacrificio.

Perché un romanzo? Per veicolare emozioni e riuscire ad avvicinarci a un'avventura che ci appare lontanissima nel tempo, ma si rivela sorprendentemente coinvolgente e presente nell'immaginazione, nel sentire.

L'emozione è una dimensione che più di altre è in grado di attraversare la storia e di accomunarci a uomini vissuti migliaia di anni fa: l'irrompere della loro presenza, che ha occupato uno spazio ancora attuale e visibile e si è dilatata in un tempo che non vediamo più, può darci l'improvvisa e irresistibile sensazione dell'assenza stessa del tempo.

Cercare noi stessi nel passato, nelle potenti spinte, forse sempre le stesse, che dominano le azioni, sovrintendono alle scelte, si scontrano con la confusione e gli imprevisti che spesso sorprendono all'improvviso la nostra razionale pianificazione degli eventi, è anche cercare sempre e di nuovo un senso al presente.
Per Manfredi la memoria trova il suo significato ultimo nella costruzione della identità, o meglio delle identità del presente.

Dare corpo, spessore, fibra a uomini ormai scomparsi da secoli riempie di consistenza anche noi e la letteratura (come le altre forme di rappresentazione del mondo) è un canale che può impegnare la nostra multiforme intelligenza, ancora così insondata, a trovare adeguato dispiegamento oltre lo spazio troppo esiguo delle nostre quotidiane faccende.

26/02/2008





        
  



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