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SCACCHI tra mente e passione: ospiti prestigiosi al convegno "A scuola con i re”

San Benedetto del Tronto | Il Convegno rappresenta il coronamento di un’attività, ormai pluriennale, in cui il 3° Circolo è impegnato, con la collaborazione dell’istruttore Gabriele Cardelli, nell’utilizzare la valenza formativa di questo affascinante gioco come risorsa didattica.

di Maria Teresa Rosini

Torneo di scacchi

Si è svolto venerdì scorso presso l'Auditorium del Comune di San Benedetto il Convegno "A scuola con i re", organizzato dalla dott.ssa Stefania Marini dirigente del 3° Circolo didattico di San Benedetto con la collaborazione dell'Amministrazione comunale di San Benedetto del Tronto e il patrocinio dell'Amministrazione Provinciale di Ascoli Piceno e del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca.

Il Convegno rappresenta il coronamento di un'attività, ormai pluriennale, in cui il 3° Circolo è impegnato, con la collaborazione dell'istruttore Gabriele Cardelli, nell'utilizzare la valenza formativa di questo affascinante gioco come risorsa didattica: i laboratori di gioco-scacchi sono un'esperienza consolidata all'interno dell'offerta formativa della scuola riscuotendo un grande successo tra i bambini, spesso impegnati, con buoni risultati, nei tornei studenteschi territoriali e nazionali.
Questa realtà ha richiamato l'attenzione e l'impegno dell'amministrazione comunale nel favorire e promuovere, anche attraverso il livello di questo convegno, una ancor più vasta diffusione della pratica del gioco nelle istituzioni scolastiche del territorio, come ha auspicato il sindaco Gaspari nel saluto iniziale.

Alla presenza di un pubblico attento e partecipe composto da studenti (scuola media Cappella Curzi e rappresentanze del liceo classico "Leopardi" e dello scientifico "Rosetti"), docenti di vari ordini di scuole e appassionati, prestigiosi relatori hanno animato la mattinata con la presentazione degli studi e delle ricerche più recenti sulla relazione tra il gioco degli scacchi, il funzionamento del cervello, lo sviluppo psicologico e cognitivo dei bambini:
Giuseppe Sgrò, del Dipartimento di Psicologia dell'Università degli Studi di Torino
Marco Antonelli, dirigente medico dell'Ospedale Civile di SBT e membro della commissione scientifica della FSI (Federazione Scacchistica Italiana)
Paolo Ciancarini, informatico, del Dipartimento di Scienze dell'informazione dell'Università di Bologna
Marcello Perrone, membro della Commissione Nazionale FSI "Didattica e scuola"
Augusto Caruso, maestro dell'Accademia Internazionale degli scacchi di Perugia
Eleonora Di Terlizzi, della facoltà di Scienze Umane e Sociali dell'Università degli Studi del Molise

Il gioco degli scacchi, come ci chiarisce subito il dottor Sgrò, è, innanzitutto, uno sport: ciò che lo connota in questo senso è un'organizzazione agonistica fortemente strutturata e il coinvolgimento dell'individuo come unità psicofisica ( vengono messe in gioco e impegnate tutte le componenti fisiche e mentali dell'individuo).
Storicamente gli scacchi rappresentano il "coagulato simbolico di più di 2000 anni di storia": dall'origine, individuata nella regione centrale dell'Asia (Tibet-India) intorno al VII secolo dopo Cristo, attraverso una diffusione che muovendo dall'Asia alle regioni arabe fino all'Europa del nord, ha rielaborato e arricchito costantemente il significato di questo gioco in una pluralità di influenze mitologiche e culturali relative al significato della scacchiera e delle figure che su di essa si muovono, si approda infine, nel presente, alla riflessione sulla mente del giocatore e sul suo funzionamento, sulla psicologia degli individui che lo praticano e sulla valenza formativa che può rivestire nella crescita dei più giovani.

Assumendo il punto di vista della psicologia gli esiti delle ricerche condotte sulla personalità del giocatore di scacchi e, in particolare, sui maestri, ossia su giocatori di punteggio ELO (misura usata per indicare la "forza" del giocatore) superiore a 2000, dimostrano che coscienziosità, scrupolosità, controllo degli impulsi, apertura mentale e amicalità sono le caratteristiche presenti in misura preponderante, mentre la cordialità si ferma nella misurazione ad un livello basso, forse a causa del livello di competitività connaturato alla pratica sportiva che produce l'assunzione di comportamenti piuttosto diretti e poco diplomatici.

Le ricerche condotte evidenziano anche come il livello di competitività sia più elevato nei maschi che nelle femmine di pari punteggio ELO, probabilmente a causa di un'inibizione di origine culturale nella manifestazione di atteggiamenti polemici e conflittuali.
Riguardo lo stile di gioco le due modalità emergenti sono lo stile dinamico e quello posizionale, in stretta correlazione con le caratteristiche di personalità dei giocatori esaminati.

Il dottor Antonelli, che ha la pecularietà di riunire in sé le figure del ricercatore scientifico e del maestro di scacchi, ci espone i risultati di uno studio che ha avuto per oggetto di analisi, tra gli altri, il suo stesso cervello monitorato proprio durante lo svolgimento di una partita giocata "alla cieca", ossia dopo aver memorizzato le posizioni dei pezzi di una partita già avviata e continuandola senza guardare la scacchiera.

Attraverso una tomografia ad emissione di positroni, che consente di localizzare con precisione all'interno degli organi del corpo una sostanza precedentemente somministrata al paziente (radiofarmaco), si sono potute evidenziare le aree cerebrali maggiormente attivate nella pratica degli scacchi e scoprire, ad esempio, che i giocatori esperti attivano aree cerebrali differenti rispetto ai dilettanti, che la dominanza di lateralità influenza le aree coinvolte, che i giocatori esperti utilizzano la memoria a lungo termine (corteccia parietale e frontale) mentre i dilettanti l'ippocampo e il lobo frontale deputati all'acquisizione di nuove informazioni.

Non poteva mancare in questo contesto, la voce di un'informatico: Paolo Ciancarini si occupa infatti della progettazione di programmi informatici per giocare.
Condurre una macchina a compiere le stesse operazioni mentali dell'uomo è un'aspirazione antica e progettare sistemi in grado di prendere decisioni tenendo conto di una quantità di variabili e regole ed emulando le caratteristiche del cervello umano ha condotto alla realizzazione di programmi che giocano a scacchi e sono in grado di battere, praticamente sempre, i giocatori in carne ed ossa più esperti. Ma all'inizio dell'affascinante percorso delle diverse forme di intelligenza artificiale la prima macchina ritenuta in grado di giocare a scacchi (che mostrava all'esterno la figura di un turco) era un vero e proprio inganno: dentro in realtà si celava un giocatore in carne ed ossa.

Cos'è che determina le capacità di un giocatore? Se il talento innato conta, esso non può però prescindere dall'esperienza: ecco perché un inizio precoce di questa pratica sportiva consente di raggiungere risultati di livello più alto. Inoltre se spesso capita ai meno esperti di giocare quasi a caso, Ciancarini ci conferma che, essendo il numero di partite possibili pressochè infinito (10120), l'unico modo sensato per ottenere risultati è imparare, dalla sterminata bibliografia relativa a questo gioco, le mosse e le partite descritte.

C'è infatti una profonda differenza percettiva tra giocatori esperti e principianti nel modo di "vedere" la scacchiera: il cervello di un esperto ricostruisce le posizioni dei vari pezzi e le loro interazioni possibili visualizzando e memorizzando la scacchiera in settori: acquisire questa capacità è indispensabile per poter progredire di livello.
Oggi, dato che ormai il computer è in grado di battere sistematicamente l'uomo si stanno sperimentando nuove regole e nuove modalità di gioco che prevedano una sorta di "ibridazione" per rendere ancora motivante per l'uomo la sfida con una macchina.

Marcello Perrone ci fornisce un quadro della realtà di questa pratica sportiva nel nostro paese. I dati di più immediata lettura riguardano gli istruttori operanti sul territorio nazionale, oggi 744, il numero dei giocatori partecipanti agli ultimi tornei studenteschi che ammonta a 900, il costante aumento della componente femminile che si colloca su una percentuale del 34% con un interessante primato del sud rispetto al resto del paese.

Perrone ci ribadisce il valore sociale e culturale di questa pratica sportiva evidenziandone anche la valenza di integrazione che può rivestire in paesi ormai multietnici e multiculturali come il nostro.

Centrale, secondo Perrone, la figura dell'istruttore: non si può limitare ad essere un esperto degli scacchi, ma deve diventare una figura che assume come riferimento gli aspetti più squisitamente educativi e formativi nella pratica del gioco.
Essere istruttori creativi, motivanti, di forte efficacia comunicativa è una condizione fondamentale perché giocare a scacchi in età evolutiva diventi occasione per il potenziamento delle abilità mentali relative alla concentrazione, all'attenzione, allo sviluppo del pensiero per immagini, del pensiero anticipatore e strategico, del linguaggio: tutte abilità che si traducono in una situazione di benessere e fiducia in sé stessi migliorando l'autostima e fungendo quindi da strumento di prevenzione di tutte le patologie sociali giovanili di cui purtroppo oggi spesso la cronaca deve occuparsi.

La testimonianza di Augusto Caruso, maestro dell'Accademia Internazionale degli scacchi di Perugia ci conferma la centralità del tema educativo nell'insegnamento della pratica scacchistica. Attraverso divertenti citazioni ci dà conto degli atteggiamenti più diffusi dei bambini nel muovere i primi passi in questo sport: il gioco infantile è principalmente emulativo e si esprime all'inizio in una "casualità caotica", dato che la percezione dell'altro arriva più tardi.

Lo spostamento del cavallo è in grado di suscitare qualche incertezza, mentre la torre appare per un certo tempo il pezzo preferito per via della semplicità delle sue possibilità di movimento. Gradualmente però emerge nel bambino una logica nel modo di giocare ed anche uno stile personale in grado di far percepire l'esistenza di un talento specifico.

Disciplina, rispetto delle regole e del maestro vengono gradualmente interiorizzate attraverso la pratica sportiva come anche il controllo dell'aggressività e l'accettazione della sconfitta. Tutto questo può realizzarsi solo se l'istruttore è consapevole di essere innanzitutto un educatore: questo non è, purtroppo, sempre scontato e la verifica è agevole dato che il comportamento scorretto del bambino è indicatore quasi sempre di un istruttore o di genitori inadeguati.

La dottoressa Di Terlizzi, psicologa dell'età evolutiva, ci chiarisce in termini più specificamente scientifici la centralità del rapporto tra maestro-istruttore e bambino.
L'aspetto affettivo della relazione viene sottolineato come fondamentale per i bambini che si apprestano a imparare e praticare questo gioco: accedere alla mente dell'istruttore attraverso la chiarezza e la univocità dei suoi comportamenti vuol dire instaurare con lui un rapporto di fiducia che può veicolare l'assunzione di atteggiamenti positivi e la formazione di una personalità equilibrata.

Il senso del limite e dell'errore, la necessità della turnazione e dell'individuazione degli atti scorretti propri e altrui sono apprendimenti che ripercuotono i loro benefici effetti sulla formazione globale dei più giovani oltre che in quella strettamente agonistica. Ma anche sul versante del mondo emotivo inferire gli stati mentali propri e altrui, "leggendo" e riconoscendo i segni esteriori attraverso i quali si manifestano le emozioni vuol dire imparare ad esercitare un controllo su di essi, affrontare in modo non conflittuale la relazione con l'altro e sviluppare strategie adattive.

Con la presentazione del libro "I bambini e gli scacchi" di Alessandro Pompa da parte di un insegnante impegnata da molti anni nel doppio ruolo di docente di scuola elementare e istruttrice di scacchi, si arriva il nodo centrale degli argomenti affrontati: quale ruolo può rivestire oggi l'insegnamento del gioco degli scacchi nella scuola. Date le premesse e le riflessioni precedentemente esposte non è difficile comprendere quale sia la significativa valenza formativa di questo gioco e quale l'importanza che può rivestire entrando a far parte dell' esperienza scolastica dei bambini.

La riflessione centrale che conclude il convegno ha per oggetto perciò le esperienze didattiche dei docenti che si sono misurati con questo ambito di apprendimento.
Intanto si è sperimentato un avvio precoce agli scacchi già in età inferiore ai 6 anni attraverso l'utilizzazione di scacchiere giganti e del linguaggio non verbale come strumento di approccio iniziale. L'apprendimento fondato sul fare, sull'operare pratico, infatti, è in grado di garantire un' interiorizzazione più stabile dei diversi concetti implicati i quali riverseranno la loro valenza positiva anche sulle discipline più prettamente scolastiche traducendosi nell'acquisizione di comportamenti più che di nozioni.

Le esperienze riportate rappresentano quindi uno stimolo per proseguire su questa strada: se è la scuola la principale "palestra della mente" per i bambini e i ragazzi in crescita non possiamo non ricomprendere nell'idea stessa di scuola tutte quelle attività che seppure non inserite nel curricolo offrono occasioni preziose per la formazione di individui equilibrati e attivi, che non subiscano passivamente il mondo che li circonda ma che con esso interagiscano per modificarlo e per modificarsi senza pregiudizi o paure.

28/05/2009





        
  



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