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"I Racconti della Panchina" -parte prima-

San Benedetto del Tronto | Iniziamo da oggi una serie di racconti del neo vincitore del Premio Nazionale "Giallocarta", Francesco Tranquilli. Appuntamento con i lettori ogni martedi e venerdi.

di Francesco Tranquilli

Tranquilli il primo a sinsitra

FRANCESCO TRANQUILLI

I RACCONTI DELLA PANCHINA - 1

PRO BONO (parte prima)

Odio i proprietari di cani.
Anch'io faccio parte della categoria, ma non è una contraddizione.
O se lo è, che sia.
Quelli che permettono ai loro animali di sporcare i marciapiedi e i giardini sono creature ignobili.
Ai loro bambini non lo permetterebbero.
Però obbligano quelli degli altri a giocare fra gli escrementi.
Andrebbero eliminati tutti.
Non i cani, i padroni.
Questo provocherebbe un certo allarme sociale. Si incolperebbero gli stranieri.
Gli extracomunitari. I rom. Gli ebrei del momento.
Meglio di no.
Eppure sarebbe giustizia.
Io ho un senso dell'ingiustizia molto spiccato.

Sarà per questo che ho scelto il mio mestiere. E che lo amo.

Vi piace Josè? E' un golden retriever di tre anni. E' poliglotta, parla ogni lingua, ma capisce anche i segnali non verbali. Quando gli dico "mingle", mi obbedisce all'istante, e si disperde fra la folla domenicale. Ma torna al momento giusto senza che nemmeno lo chiami, basta che io pensi a lui.
Josè è più intelligente della gran parte degli esseri umani che affollano questo parco stupendo.
E non è un'iperbole, la mia.

La mia panchina era occupata da due giovani donne, che si intrattenevano dibattendo sulla vita sentimentale di personaggi della televisione. Una di loro aveva davanti a sé un passeggino vuoto, appartenente al bambino di un anno circa che stava giocando coi sassi seduto a terra.
Non va bene così, ho pensato. Far giocare un bambino dov'è così sporco.
Non può esistere una mamma così sconsiderata. Sarà una baby-sitter. E' così giovane.
Ma anch'io vengo disilluso spesso.
"Carlino, non si mettono in bocca i sassi, no, tesoro di mamma..."
Poi le due ragazze mi hanno notato, in piedi davanti a loro senza una parola.
Josè si era seduto, in paziente attesa.
Hanno liberato la mia panchina in fretta.
Giusto in tempo. Ho un colloquio alle dieci, e il mio Potenziale Cliente sembra essere puntuale.
Da come si è descritto, è lui.
Amo la puntualità. Sono le dieci precise.
Questo depone a suo favore.
"Mingle, Josè!"

"E' lei...?"
"Sono io. Vuole accomodarsi?"
Mi tende la mano. Non dev'essere molto sveglio. Fa per presentarsi.
"Buongiorno. Io sono..."
"So chi è. Abbassi quella mano. E niente nomi. Non ci conosciamo. Né ora né mai."
"Ah. Sì, certo, capisco. Mi perdoni."
"Già fatto."
Indossa un completo di ottimo taglio, su misura. Peccato quelle macchie di sudore. E i pantaloni stazzonati. Tira fuori un fazzolettone e si asciuga la fronte, sedendomisi accanto.
"Un po' singolare, no?", osserva.
"A che si riferisce?"
"Un appuntamento di domenica mattina al parco. Pensavo... cioè, mi sarei aspettato..."
La categoria peggiore. Quelli con delle aspettative. Che pensano di condurre loro il gioco.
Gli sorrido, benevolo, senza guardarlo.

"In effetti io ho uno studio, all'attico di un grattacielo nel quartiere finanziario, ma capirà che un certo tipo di affari non si tratta dietro una scrivania. Non ci sono contratti da firmare. Qui è in ballo la fiducia reciproca. Capisce?"
"Haha." Ride, ma senza gusto. "Fiducia. Sì, sì. Dice bene, lei. Io non mi fido più di nessuno."
"Di me dovrà fidarsi. Voglio dire, se ci accordiamo."
"Giusto."

Suda ancora. Si asciuga di nuovo. Non è molto caldo, stamani.
Apro il sacchetto di briciole di pane che ho portato da casa, e comincio a distribuirlo ai piccioni, che accorrono da ogni parte a contendersele.
"Piccioni. Ugh. Bestie schifose. Le odio."
Getto altre due manciate di briciole agli uccelli prima di domandare.
"E chi altri?"
"Come dice?"
"Chi altri odia? I cani? I bambini? I negri?"
Mi lancia uno sguardo risentito.
"Non sono razzista. I cani mi piacciono. I bambini, poi, li adoro. Ma i pennuti mi fanno schifo."

Aspetto, cercando di spartire equamente le razioni fra i piccioni, senza escluderne nessuno.
"Solo mia moglie, odio."
Il mio colloquio di lavoro di questa mattina è appena iniziato.

"Non è stato facile trovarla, sa?"
Sorrido ai piccioni.
"Chi mi cerca prima o poi mi trova. Altri non mi trovano mai. Sono l'unica Azienda a non avere un sito sul Web."
"Be', me l'immagino." Ridacchia. "Anche se... Forse cercando su Google sotto..."
"Vogliamo venire al dunque?"
Sono stato un po' brusco. Ma il lavoro è lavoro. Né ciarle né familiarità con i clienti.
"Mi perdoni."
Ancora questo mi perdoni.
"Sì, sì. Chi è?"
"Mia moglie?"
"E' lei l'Obiettivo, vero?"
"Oh, sì. Eccola lassù."

Alzo lo sguardo. Oltre i pini, oltre il parco, sulla facciata di una spettacolare chiesa romanica in restauro da venti mesi, mi indica l'impalcatura. Un cartellone di ventiquattro metri quadrati raffigura una ragazza bionda poco nutrita, a quattro zampe, a testa china come sottomessa, che indossa solo un pantalone color oro. In piedi dietro di lei una specie di energumeno, anche lui vestito solo dalla cintola in giù e scalzo, osserva perplesso il posteriore che la ragazza gli offre, e sembra incerto se possederla da dietro o darle un calcio.

In basso a destra, un nome allitterante e famoso, quello di una Regina della cosiddetta alta moda.
"Non è la ragazza, beninteso."
Sorrido.
"L'avevo capito."
"Quella è una povera disgraziata. L'ultima conquista di mia moglie."
Sollevo un sopracciglio. Guardo nel sacchetto. Le briciole di pane sono finite. No, ce ne sono ancora.
"...E' pure lesbica. Ma non è per questo che... Insomma, ma le devo spiegare i motivi? Non basta pagare?"
Pagare pagano tutti, alla fine.
E'uno di quei passaggi che non si possono saltare.
Fuor di metafora, il signore sudato e sovrappeso che mi è seduto accanto ha ragione. Basta pagare.
Di tutto il resto si occupa l'Azienda.
"Sì, ma quanto?"

parte prima

05/06/2009





        
  



5+4=

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