"Niente di vero sul fronte occidentale". Guerre: informazione o propaganda?
San Benedetto del Tronto | Presentato lultimo libro del giornalista e inviato di guerra Ennio Remondino "Niente di vero sul fronte occidentale".
di Maria Teresa Rosini
Remondino
Ennio Remondino si occupa di guerre da molti anni. Corrispondente della Rai da tutti i principali teatri di conflitto degli ultimi decenni, ha avuto modo di comprendere come i canali e le modalità comunicative attraverso cui delle guerre si dà conto all'opinione pubblica, divengano strumenti che hanno uno scopo spesso esattamente all'opposto a quello dichiarato.
Mettendo a frutto l'esperienza di corrispondente di guerra e appassionandosi a ricerche in grado di porre a confronto il presente col passato, Ennio Remondino ci conduce nel suo libro, come afferma Filippo Massacci nell'introduzione alla conversazione con l'autore, in un viaggio attraverso 3000 anni di storia cogliendo con sintesi e acutezza i paradossi di vere e proprie falsificazioni della realtà operate per giustificare le azioni militari.
Per percepire tutto questo è necessario compiere dei veri e propri ribaltamenti di visuale dato che "è proprio quando si crede di aver capito qualcosa che occorre cambiare il punto di vista" divenendo l'avvocato del diavolo delle proprie certezze.
Nelle narrazioni storiche infatti non è infrequente il verificarsi di ribaltamenti di visuale dato che la storia la scrivono i vincitori ed è la loro addomesticata verità ad essere stampata sui libri, e noi finiamo sempre per accorgercene con un certo ritardo.
Perché un libro sulla guerra? Perché l'informazione giornalistica sulle guerre è costituita da un mosaico di piccole notizie, uno stillicidio di piccole quotidiane registrazioni di un quadro generale, che vanno a costituire un cumulo di fatti e circostanze presto consumati e rapidamente digeriti, seppure molto spesso non assimilati, da un'utenza distratta e inconsapevole.
E anche la telecamera, strumento al cui prodotto siamo sempre disposti, erroneamente, a riconoscere un attributo di verità, è invece strumento sommo di bugie e distorsioni della realtà. La non conoscenza dei codici attraverso i quali le immagini vengono costruite, le rende strumento di falsificazione più pervasivo, per la sua immediatezza emotiva, delle parole.
In un libro invece, ci dice l'autore, il discorso ha modo di distendersi, di sviluppare punti di vista più ampi, di operare collegamenti sganciandosi dalla particolarità di singoli contesti.
L'inviato di guerra possiede, in virtù del mestiere, una sorprendente capacità di "fiutare" l'imbroglio e la bugia, abilità che, naturalmente, tende a sviluppare in misura inversamente proporzionale alla sua disponibilità nel prestarsi a fare "il trombettiere delle bugie".
E' con questo sguardo diffidente "a prescindere", che l'autore ci parla non delle guerre di cui è stato testimone, ma di altre che hanno insanguinato la storia recente e più lontana.
Intanto: non c'è guerra che non muova da motivazioni in qualche modo "ideali", che rivestono, di menzogna appunto, una verità che di solito è molto più strettamente intrecciata agli aspetti affaristici ed economici da cui muovono i conflitti, onnipresente nuda struttura su cui le sovrastrutture ideologiche o politiche giustificative dei conflitti sono solidamente agganciate.
In realtà è sempre il primario istinto di sopraffazione quello che muove, che ha mosso i gruppi umani, nel corso del tempo, gli uni contro gli altri.
L'istinto è il motore che ci porta ad identificarci con un popolo, una nazione, un gruppo di nazioni contro altri, alzando il tono delle nostre ragioni e additando un nemico responsabile, e che ci consente di poter superare l'altrettanto istintiva empatia che la sofferenza e la morte di altri, spesso e nostro malgrado, ci suscitano a livello emotivo.
Proprio per questa fragilità in virtù della quale possiamo riconoscere nell' "altro" un nostro simile, le ragioni, false, di un conflitto hanno bisogno di essere ripetute come un karma, ossessivamente dato che "repetita iuvant" e non c'è nulla di più efficace la ripetizione per rendere vera qualunque bugia.
Ma perché, ci chiediamo allora, si trova sempre un'opinione pubblica così cedevole, sempre pronta a credere alle bugie propinate dall'alto?
Bella domanda. Forse perché, si può azzardare, si trova sempre chi, per insipienza o eccessiva onestà, è disponibile a credere in qualcuno o in qualcosa, bisognoso com'è di indicazioni e strumenti di lettura della realtà che per pigrizia o menefreghismo non è disposto a cercarsi e costruirsi da solo. Inoltre chi dall'alto coltiva lo scopo di fuorviare e distorcere la percezione pubblica dei conflitti, può contare sulla costante elaborazione di strategie comunicative scientificamente mirate e continuamente aggiornate.
Oggi è la televisione il più efficace e meraviglioso dispensatore di bugie, a livello planetario ormai. "Omero tecnologico", come lo definisce Remondino, che sa, opportunamente guidato da menti lungimiranti e completamente prive di scrupoli, come svuotare e riempire teste un tempo autonomamente pensanti ed è il più efficace amplificatore di ragioni false di conflitti veri in contesto internazionale, di falsi scandali, false verità, false notizie nell'ambito del conflitto politico interno, come ci insegna la nostra attualità quotidiana.
La morale della favola, se proprio vogliamo trovarne una, sta nelle conclusioni dello stesso autore, che Filippo Massacci ci legge al termine della serata: classificato da un ex agente segreto divenuto suo amico, come "incontrollabile" ossia "persona non disposta a subire interferenze illecite", Remondino riflette tristemente sul fatto che un giornalista incontrollabile, come sostanzialmente riconosce di essere, non ha vita facile: "è sempre in grado di scontentare tutti, tutti lo temono, pochi lo amano e nessuno lo vuole tra i piedi".
Ma oggi più che mai gioverebbe, e non solo ai giornalisti, ma a tutti noi almeno un pizzico di incontrollabilità. Gioverebbe nei comportamenti quotidiani, nel guardare la televisione, nel leggere i libri di storia, nel riuscire a sentirsi parte in causa, attori del presente e non comparse che si trovano per caso o per soldi sul set di un film del cui finale in fondo non gliene importa niente.
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28/02/2010
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