Si apre la stagione di prosa al Ventidio Basso
Ascoli Piceno | Anche quest'anno il cartellone del teatro è ricco di nomi importanti. Si inizia stasera e domani con le Allegre Comari di windsor con Leo Gullotta.
Leo Gullotta
L'inaugurazione il 25 e 26 ottobre è affidata a una grande commedia shakespeariana, Le allegre comari di Windsor nell'allestimento curato per il Teatro Eliseo dal regista Fabio Grossi ad Ascoli Piceno in esclusiva regionale. Amori e amanti, guasconi maldestri e burocrati vacui, mariti gelosi e golosi mercanti, mercenari allettanti ed infingardi ci racconteranno, nell'interpretazione di un cast di alto livello guidato da Leo Gullotta, la storia che, come nelle migliori tradizioni teatrali, verrà in alcuni parti rafforzata dalla partitura musicale, sottolineando di volta in volta momenti comici, grotteschi o romantici.
Diva e icona italiana di bellezza, Ornella Muti insieme a Emilio Bonucci e Pino Quartullo diretti da Enrico Maria Lamanna portano in scena - il 24 e 25 novembre - L'Ebreo di Gianni Clementi. Un testo che sviscera le miserie striscianti sotto la pelle dell'umanità con un linguaggio diretto ed efficace. Piccola storia di una coppia travolta da un evento tanto temuto quanto atteso, L'Ebreo è l'apologia della meschinità umana. Giovanni Clementi, con questa sua opera, ha vinto il Premio Siae.Agis.Eti "per la simbiosi perfetta fra il tema, storicamente importante, ed il linguaggio teatrale diretto ed efficace, sottolineando la drammatica attualità dell'argomento".
Il nuovo anno si apre il 4 e 5 gennaio con il debutto in anteprima nazionale di Art. Lo spettacolo, che vede la luce al termine di una residenza al Teatro Ventidio Basso, è la trasposizione del testo di Yasmina Reza interpretato da tre attori di talento come Alessio Boni, Alessandro Haber, Gigio Alberti e diretto da Giampiero Solari. La commedia solleva la questione dell'arte e dell'amicizia, esplorando con ironia la profondità e la complessità dell'amicizia.
Sempre a gennaio - il 28 e 29 gennaio - sarà in scena un testo inedito per l'Italia, Cena a sorpresa di Neil Simon con, tra gli altri, Giuseppe Pambieri, Giancarlo Zanetti e Lia Tanzi diretti da Giovanni Lombardo Radice. Deliziosa commedia che percorre con ironia e sensibilità il tema dell'amore, The dinner party è stata uno dei maggiori successi degli ultimi anni a New York. Una tessitura drammaturgica che si snocciola come un meccanismo ad orologeria in cui la fine non è mai quella che si presume possa essere. Si ride, di quel modo intelligente ed elegante che Neil Simon - certamente tra gli autori più amati e rappresentati - conosce bene ma, allo stesso tempo, si hanno spunti interessanti di riflessione che fioriscono proprio in quei momenti in cui l'autore sembra spingere alla facile conclusione.
L'oro di Napoli - in scena il 12 e 13 febbraio - è un affresco della verve partenopea tratto dal film che Vittorio De Sica ha portato sul grande schermo nel 1954, con la sceneggiatura di Cesare Zavattini e attori di talento come Eduardo De Filippo, Totò, Sophia Loren e Silvana Mangano. Lo spunto, come per il film, è tratto dai racconti di Giuseppe Marotta, che rendono benissimo l'anima e la "filosofia" del popolo partenopeo. Questa volta, a farne una pièce teatrale ci pensa il napoletano doc Armando Pugliese che oltre all'adattamento, insieme a Gianfelice Imparato, protagonista dello spettacolo accanto a Luisa Ranieri, ne cura anche la regia.
La conclusione della stagione il 18 e 19 aprile è con un beniamino del pubblico, Alessandro Gassman con Roman e il suo cucciolo di Reinaldo Povod, testo che fu portato in teatro negli anni Ottanta da Robert De Niro. Si tratta di un dramma famigliare a sfondo multietnico che rappresenta l'irrequieto rapporto fra un padre semi-analfabeta, spacciatore di droga, e un figlio che aspira a emanciparsi attraverso lo studio. La traduzione di Edoardo Erba traspone l'azione nella periferia di una nostra città odierna, ambientando la vicenda in una comunità di immigrati romeni. La regia è dello stesso Gassman.
Abbonamenti in vendita dal 9 ottobre. Per informazioni biglietteria del Teatro Ventidio Basso tel. 0736 244970.
LE ALLEGRE COMARI DI WINDSOR
di William Shakespeare
traduzione e adattamento Fabio Grossi e Simonetta Traversetti
con Leo Gullotta
e con Alessandro Baldinotti, Paolo Lorimer, Mirella Mazzeranghi, Fabio Pasquini
Rita Abela, Fabrizio Amicucci, Valentina Gristina
Cristina Capodicasa, Gerardo Fiorenzano, Gennaro Iaccarino, Federico Mancini
Giampiero Mannoni, Sante Paolacci, Sergio Petrella, Vincenzo Versari
regia Fabio Grossi
scene e costumi Luigi Perego
musiche Germano Mazzocchetti
coreografie Monica Codena
luci Valerio Tiberi
regista assistente Mimmo Verdesca
esclusiva regionale
Fu per volontà della regina Elisabetta I che il Bardo riesumò Sir John Falstaff, fatto morire nella sua precedente opera, l'Enrico V: nacque così Le allegre comari di Windsor. Ad accreditare questo aneddoto fu infatti John Dennis, che lo riferì nel 1702. La smania della regina, come precisò pochi anni dopo un altro attento cronista shakespeariano, Nicholas Rowe, derivava da un suo divertito "invaghimento" per la poderosa figura comica di Falstaff; invaghimento che le istillò il desiderio di vederlo in un altro dramma, e per di più innamorato. Sicché, per non venir meno al dictat dell'imperiosa Elisabetta, Shakespeare avrebbe, non già "resuscitato" Falstaff, che è moderno espediente da soap-opera, ma escogitato l'intreccio narrativo delle Allegre comari collocandone la vicenda in un tempo immediatamente precedente alla morte del cavaliere, raccontata da Mistress Quickly, altro personaggio riproposto, nell'Enrico V. Anche questa Nostra edizione, benché passati parecchi secoli, nasce sotto l'occhio vigile e severo della GRANDE Regina: intrighi, scherzi e maramaldate, sfileranno così secondo il divertito gusto shakespeariano. Protagonista della vicenda è Sir John, con le sue esuberanti smargiassate da guascone, la sua sovrabbondante figura, la sua pletorica simpatia cialtrona, il suo amore per la crapula e il bicchiere e la sua irresistibile, endemica disonestà viziosa e bonaria. Con gli occhi di oggi, lo considereremmo un diverso, sia per verbo che per figura, un avverso al presupposto bigotto di una società borghese. Ma la tessitura della commedia stessa, va oltre l'apparenza e, per andar al di là del detto che "l'apparenza inganna", proprio d'inganni e scherzi, per lo più perfidi, questa è avviluppata. Vi si racconta di una società, che vive sotto l'occhio della Corte, dove il dileggio l'uno dell'altro dei componenti della comunità, fa da quotidiano passatempo: la protervia della condizione di nascita e dello svolgersi dei fatti della vita d'ognuno la farà da presupposto dominante. Tanto pronti ad impugnar le spade, a difesa di supposti e ridicoli onori, quanto a deporle per sostituirli con boccali di vin di Spagna, al fin inconscio di proporsi come innocue prede di chi del borseggio fa scopo di vita. Un ventaglio di più svariata umanità la farà da protagonista della vicenda: il bonario benestante, il meschino geloso, lo scaltro pedante, il servo scimunito, il pavido baciapile, l'ampolloso bottegaio, l'antipatico saccente. Ma su tutti trionferanno le donne, le qua raccontate Comari, che con furbizia e lungimirante intelligenza, collocheranno in maniera indolore per la comunità, la parola fine alla vicenda.
Quindi, amori e amanti, guasconi maldestri e burocrati vacui, mariti gelosi e golosi mercanti, mercenari allettanti ed infingardi, ci racconteranno la storia che, come nelle migliori tradizioni teatrali, verrà in alcuni parti rafforzata dalla partitura musicale, sottolineando di volta in volta momenti o comici, o grotteschi, o romantici.
Alla fine, l'amore giovanile uscirà trionfante, la smania tardiva gabbata, in un turbinio, ammantato da magiche visioni, che concluderà riportando nelle proprie case i protagonisti, lasciando il Nostro Grasso e Grosso personaggio principale a tirar le fila di una vita vissuta ai margini, ma con l'onor d'una filosofica consapevolezza. Rispettando appieno la struttura voluta e pensata da Shakespeare, proponendo allo spettatore, in luogo dei cinque atti, i più canonici e moderni "due più intervallo", si lascerà indubbia la correlazione ai Nostri tempi e alle Nostre vicende sociali, sottolineando qua e là lo scherzo, acre e cattivo, denominante una società che pedissequamente ripete i suoi stilemi, nei confronti di chi viene considerato un diverso, sia per aspetto, che per attitudini o usi. Fabio Grossi
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25/09/2010
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