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Lo sguardo di Tullio Pericoli raccontato da Silvia Ballestra

San Benedetto del Tronto | Dalla provincia alla Milano del boom. Satira, sodalizi con gli scrittori, rapporto con l'arte contemporanea, ritorno alle radici. Biografia ma anche viaggio nell'Italia degli ultimi 50 anni attraverso l'ironia dell'artista

di Cristina Grossi

In copertina "Veduta" di Tullio Pericoli del 2009

"Le colline di fronte" nasce da un lavoro fianco a fianco durato circa un anno tra le Marche, in cui sia Silvia Ballestra che Tullio Pericoli sono nati, e Milano, la città in cui entrambi risiedono. Una biografia che l'autrice ha scelto di raccontare insieme all'artista. Luoghi da schiudere, ricordi da condividere, personaggi da richiamare sono stati affidati dalla scrittrice alla scelta dello stesso Tullio Pericoli. Torna in mente lo "sbalordito ascolto" prestato a Joyce Lussu, altra grande figura raccontata in un'intervista dall'autrice nel '96. Qui la presenza dell'autrice non è così defilata come allora; si avverte nello stile e in un certo sentire comune che viene manifestato empaticamente in molti passaggi. Il libro, pubblicato da Rizzoli, è stato presentato nei giorni scorsi all'auditorium di San Benedetto. L'incontro, introdotto da Mimmo Minuto, è stato diretto da Maurizio Capponi. Presenti, oltre all'autrice e all'artista, Maurizio Compagnoni ed, eccezionalmente, Antonio Gnoli.

Pericoli arriva a Milano nel '61 da Colli del Tronto, dove è nato nel '36. L'impatto con la città ha del romanzesco: il giovane artista va a cercare Giancarlo Fusco, firma de "Il Giorno" e l'approccio tra i due viene evocato riprendendo il racconto in stile "gonzo" che ne fa lo stesso Fusco. Il giornalista, in mutande, va ad aprire la porta al giovanotto col rotolo, gli storpia il cognome, immagina di avere di fronte un giapponese. Solo dopo averlo trascinato per due mesi nei locali della metropoli lombarda durante "notti alla Buscaglione", lo fa entrare in redazione.

Sono gli anni del boom: una fortunata congiuntura storica, oggi impensabile, che da una parte offre ampie possibilità di espressione e di inserimento ma al contempo pone l'intellettuale nell'incapacità di sfuggire agli ingranaggi perversi dell'industria culturale in espansione. Pericoli riesce a muoversi in questo scenario vischioso e frenetico non senza avvertire un senso di alienazione; il disagio della vita agra sfiora anche lui, viene elaborato e drammaticamente trasferito in una serie di dipinti, ma le intenzioni di anteporre l'arte alla carriera, che si porta dietro dalla provincia, restano intatte.

Cruciale, in questo senso, è stata l'influenza di un suo zio anarchico dallo stile di vita irregolare; un anticonformismo, contrariamente al clima borghese che respirava in casa (in particolare l'atteggiamento proibitivo del padre) che affascina e forma il giovanissimo Tullio; anni dopo riverserà nella fisionomia del viso di Robinson Crusoe, illustrato per la Olivetti, i lineamenti di quell'uomo che lo aveva fortemente incoraggiato a seguire la sua passione per il disegno.

Il racconto biografico, come scelta narrativa, rischia di divenire un terreno scivoloso: la Ballestra tratteggia con delicatezza il rapporto conflittuale tra padre e figlio; con la medesima discrezione, non va ad invadere quegli spazi intimi della vita dell'artista "che avrebbero fatto la gioia di qualche biografo un filo più spregiudicato di me" scherza l'autrice. Di Pericoli ci vengono fatti apprezzare lo spessore pubblico, l'impegno, l'ironia attraverso cui guarda la realtà in cui è consapevolmente immerso.

La narrazione procede cronologicamente, si proietta negli anni Settanta: c'è un vento nuovo, gli artisti si emancipano da certe forme residuali di autocensura. La scuola gentiliana, il giornalismo prezzolato, la spettacolarizzazione della politica: storture italiane che passano attraverso lo sguardo acuto di Pericoli che in coppia con Emanuele Pirella crea gli Identikit e poi Il dottor Rigolo per Linus; in questi anni collabora anche con Il Corriere, L'Espresso e La Repubblica.

Poi "dall'analisi si è passati all'insulto"; arrivano le querele dal mondo politico e parallelamente il linguaggio televisivo inizia a contaminare ambiti fino ad allora restati immuni: anche la cultura si fa spettacolo. Ma Calvino, Eco, Pasolini, Moravia, Proust, Kafka (e molti altri) vengo ritratti e non caricaturizzati come era avvenuto con i personaggi politici; l'artista sente molte affinità con gli scrittori, piuttosto che con i galleristi o con gli esponenti della pittura contemporanea. Con molti di loro stringe profondi sodalizi, si confronta, trasferisce le suggestioni della letteratura nei suoi lavori.

Il settore dell'arte, intanto, inizia a mutuare le regole dal mercato; Pericoli negli anni ha continuato a esporre i suoi quadri senza mai allontanarsi dalla concezione elevata e sganciata da tornaconti economici che attribuisce alla pittura. Oggi respinge l'etichetta di "artista contemporaneo". "Nel campo dell'arte - ha detto durante l'incontro all'auditorium - non dovrebbero esistere rapporti di potere o concetti come il possesso e la competizione". Ammette la difficoltà odierna ad incontrare interlocutori tra i mercanti d'arte ed è comprensibile allora il suo ritorno alle radici, il suo rinnovato sguardo alle colline marchigiane, agli scorci mai dimenticati della sua infanzia.
La sua non è un'introversione disillusa, anzi: i paesaggi profondamente trasformati che ha ritrovato, sollevano riflessioni intorno all'ecosostenibilità e alla decrescita economica; inevitabilmente il discorso diventa politico e Pericoli vi si inserisce con la sua consueta lucida ironia.

03/01/2012





        
  



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