Da faida a mafia. Il lavoro di Domenico Seccia sulla piovra garganica
San Benedetto del Tronto | Presentato lo scorso sabato all'auditorium, “La Mafia innominabile” mostra il graduale smantellamento di un sistema extrasociale a lungo rimasto sommerso a causa di indagini processuali parziali e di una diffusa connivenza di popolazione e autorità.
di Cristina Grossi
(da sinistra) Mimmo Minuto, Domenico Seccia e Anna Rosa Cianci
Un'anomalia che si sostuisce al sano svolgimento della vita economica. Il riemergere di rapporti feudali che silenziosamente, si sostituiscono ai diritti civili, faticosamente conquistati nel corso dei secoli. Come tutte le mafie, anche quella garganica - dei clan Alfieri, Li Bergolis, Ciavarrella, Tarantino -, è arrivata, nel corso di un trentennio a gestire il racket delle estorsioni, a monopolizzare il narcotraffico e a sterminarsi in un crescendo di violenza. Eppure il fenomeno è stato a lungo relegato alla stregua di un'esaperazione di faide tra allevatori o, più recentemente, a episodi di criminalità organizzata privi di connessione.
"108 omicidi dal 1978 non sono stati sufficienti affinché la mattanza che insanguina il Gargano fosse identificata come fenomeno mafioso. Ho constatato la reticenza a pronunciare la parola "mafia" anche da parte degli amministratori pubblici in occasione della presentazione del libro in uno dei paesi roccaforte della mafia garganica. - ha spiegato l'autore de "La Mafia innominabile" (La Meridiana), Domenico Seccia, attuale Procuratore della Repubblica di Lucera - È il segnale di una sottomissione dura da capovolgere".
"Il mafioso non è considerato ostile, anzi: una certà mentalità lo eleva a soggetto verso cui riporre fiducia, vicino alla popolazione, che riequilibra la giustizia. Piuttosto è lo stato ad essere visto come invasore" ha proseguito Seccia. È questa distorsione dei rapporti civili che rafforza la percezione di ineluttabilità verso un così radicato sistema extrasociale; inoltre, una vulgata giudiziaria a lungo frammentata e miope non ha permesso di individuare la matrice comune della lunga mattanza e ne ha parlato a lungo in termini di comune criminalità organizzata.
Dal 2003, anno in cui Domenico Seccia è entrato a far parte del distretto antimafia barese, fino ad oggi, due sono le sentenze che ribadiscono che "la mafia garganica esiste ed è vera mafia" ma occorre un ulteriore e più profondo mutamento.
"Per ribaltare una distorsione della realtà così diffusa - ha concluso Seccia - non basta il lavoro della giustizia. Bisogna promuovere la legalità, far conoscere la brutalità e la violenza della mafia e alimentare quotidianamente germogli di fiera opposizione".
Presente tra il pubblico durante l'incontro, introdotto da Mimmo Minuto e coordinato da Anna Rosa Cianci, anche l'assessore alla Cultura, Margherita Sorge che è intervenuta a sottolineare il ruolo che la scuola e le agenzie educative dovrebbero avere nella diffusione della conoscenza. Intervento anche da parte dell'onorevole Amedeo Ciccanti che ha riconosciuto all'autore il merito di aver distinto il fenomeno mafioso dalla criminalità organizzata, il primo passo per definirlo e non renderlo più "innominabile".
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23/03/2012
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