Robecchi: "Pazienza, classico della letteratura del '900" e Fandango ripubblica le "Storie brevi"
San Benedetto del Tronto | Il giornalista, ospite degli "Incontri con l'autore" con Giovanni Ferrara, curatore dell'iniziativa della casa editrice, ha ripercorso gli snodi della produzione dell'artista: "Interesse verso Paz mai spento: ha reso universale l'utopia del '77"
di Cristina Grossi
(da sinistra) Robecchi, Ferrara, Sorge e Minuto
Il piano di ripubblicazione dell'intera opera, avviato già da tempo dalla casa editrice romana e mirato far conoscere Pazienza a un pubblico nuovo, è il segno del mai sopito interesse per l'artista che va al di là del rimpianto per la sua precoce scomparsa cantato con disincanto da I Gang ("Da quando non ci sei, Bologna non c'è più") ed è testimoniato, solo per citare le iniziative degli ultimi anni, dalla pellicola di Renzo De Maria, dalla trasposizione teatrale di Pompeo, dalla ripubblicazione in 4 volumi, voluta dal Gruppo Espresso, delle tavole di Zanardi, Tormenta, Pert e Pompeo.
"Disegno da quando avevo 18 mesi, so disegnare qualsiasi cosa in qualsiasi modo" scriveva Pazienza nella breve autobiografia mandata a Paese sera nel 1981. La padronanza che ha dello strumento grafico è totale e se ne coglie la cifra nella traiettoria che, da Pentothal a Pompeo, si compie dal 1977 al 1986.
"La storia di Pentothal, che fa il suo esordio nel 1977, è diventata mitologia perché narra di una giovinezza non standardizzata che intravedeva il sogno di una rivoluzione culturale non così lontano" - spiega Robecchi. Realtà e immaginazione si compenetrano e la componente onirica viene resa attraverso la straordinaria ricchezza grafica che prevale sul testo. "Qui sta la sua attualità: - prosegue il giornalista - ha letto il suo tempo dando a quel sogno di cambiamento un significato universale".
Sono anni segnati da rapidi mutamenti culturali: la generazione del Movimento del '77, impegnata a non cedere alla litania de "il lavoro, il risparmio, il normale sfaldarsi del corpo, lo studio, due+due fa quattro, sveglia alle otto, cene d'affari", cade sotto la violenza dalla repressione poliziesca e dell'eroina, la cui diffusione capillare fu un pilotato strumento politico di annichilimento.
Ne Gli ultimi giorni di Pompeo Pazienza affronta il suo rapporto con la tossicodipendenza: il segno grafico si fa scarno, l'essenzialità del disegno cede spazio alla confessione intimista e la forma diaristica viene resa attraverso l'intenzionale utilizzo di normali fogli di quaderno. "È il simbolo di una sconfitta personale e collettiva, - commenta Robecchi - è la fine dell'utopia che il '77 aveva incarnato". Il linguaggio è crudo ed esplicito, lo stesso di certe inquadrature dell'iperrealista Amore tossico, film a tema di quegli stessi anni. Pazienza aveva lasciato Bologna, dove insegnava alla scuola di fumetto "Zio Feininger", e si era trasferito a Montepulciano; cercava una nuova direzione della quale ha vissuto solo l'inizio ed è inevitabile, alla luce della sua scomparsa, leggere Pompeo come un testamento.
Con la sua morte, affatto annunciata, avvenuta nel 1989, si è interrotta anche un'evoluzione artistica che andava a privilegiare l'elemento discorsivo. La scrittura di Pazienza, sin dall'inizio densa di neologismi, di termini gergali o mutuati dai dialetti abruzzese, marchigiano, emiliano e pugliese, prefigurava un'apertura che forse sarebbe approdata alla narrativa, al cinema o al teatro. Tondelli, Ballestra e Brizzi (quest'ultimo con Bastogne celebra esplicitamente l'atmosfera nichilista e cannibale di Zanardi), sono alcuni degli scrittori che lo hanno amato, hanno colto il suo valore narrativo e hanno reso omaggio al suo stile e alle sue ambientazioni.
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08/08/2012
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