Noi liceali e il lavoro: un'utopia?
San Benedetto del Tronto | La scuola è iniziata e i giovani, in particolare chi si avvia alla fine del ciclo, comincia a porsi domande sul dopo. Ecco una analisi attenta di Alice Galasso
di Alice Galasso
Suona la campanella. Si entra in classe. Ora bisogna aguzzare la vista per accaparrarsi il posto in fondo vicino alla finestra, quel tanto agognato posto che ci preserverà dallo sguardo indiscreto del prof mentre naufraghiamo in un mare di fantasie adolescenziali - come se un banco potesse cambiare le nostre sorti..
Dobbiamo affrontare un nuovo anno e dentro di noi si fanno vivi rinnovate gioie, timori e speranze per il futuro. Questo "futuro" sempre più vicino e tangibile che ci fa paura e ci affascina allo stesso tempo, tiene occupate le nostre menti a tempo pieno.
Non sogniamo più - come ai tempi dell'infanzia - di diventare valorosi eroi dotati di superpoteri o principesse mantenute, abitanti di grandiosi castelli, ma di certo non aspiriamo al mestiere di netturbini o lavavetri ..
Tuttavia la maggiorparte di noi finirà in un Mc Donald's.
Gli stereotipi insegnano che ciò che manca alla maggiorparte di noi liceali è senza ombra di dubbio la praticità, il cui primato appartiene agli istituti tecnici. Tuttavia veniamo formati allo stesso scopo che non è fondamentalmente quello di collaborare alla crescita culturale, bensì costituire parte integrante della società su un piano economico, normarmelmente.
Come risolvere allora il dilemma dell'applicazione delle nostre conoscenze che non si limiti esclusivamente alla sfera scolastica? Dopotutto non possiamo dare torto a certe voci circa l'isolamento della Scuola come apparato a sé, così discostato dalle esigenze della vita reale.
Assai noto è il fenomeno dei call-center, questi grandi Benefattori che accolgono e assumono chiunque con contratti a breve termine, miseri salari, orari stressanti senza né ferie né assicurazione. Così cinquantenni freschi di licenziamento, troppo "vecchi" per cercarsi un nuovo impiego, giovani madri alla ricerca disperata di introiti regolari ma soprattutto neo-laureati/diplomati vi trovano riparo, sicuri del fatto che dopo due mesi e 400 euro circa la loro situazione non sarà cambiata.
Per evitare il dilagare di queste attività poco costruttive che non risolvono affatto il problema crescente della disoccupazione giovanile, occorrerebbe iniziare lo studente al complesso e spietato mondo del lavoro sin dai primi anni delle superiori.
A favorire una concomitanza scuola-lavoro, sarebbe innanzitutto ottimale svolgere dei corsi di apprendistato o tirocini all'interno di aziende, giornali, agenzie di viaggi nel pomeriggio durante brevi periodi prestabiliti.
In tal modo si imparerà a gestire meglio il tempo a disposizione per lo studio e per il lavoro, si acquisirà un maggiore senso pratico anche mediante piccole mansioni d'ufficio e soprattutto si avrà qualcosa in più da scrivere su un ipotetico curriculum. Il risultato finale sarà utile alla realizzazione di una perfetta combinazione - per chi vorrà in futuro - tra università e occupazione.
Un progetto, questo, realizzabile e concreto se solo i licei si rendessero più malleabili rispetto a quell'alone mistico di cui sono circondati che è l'astrazione umanistica e leggermente più aperti al mondo oltre le "sudate carte".Una formazione completa a 360 gradi sarebbe l'ideale per i futuri lavoratori e datori. Purtroppo sono passati dei secoli da quando l'intellettuale era un mestiere.
Oggi la cultura non crea guadagno, ma combinata con del sano realismo, ci guida meglio nelle nostre scelte. Che un equilibrio perfetto sia soltanto un'utopia? Forse è vero che siamo della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni.
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24/09/2013
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