Mentre ancora per poco sorvoliamo il cielo dell‘Attica, i nostri sguardi sognanti ci riportano a quell'immagine; apriamo gli occhi e non vediamo che un territorio brullo, tinto di marrone, interrotto bruscamente da un mucchietto bianco di costruzioni messe a casaccio l'una sopra l'altra. Atene è un groviglio di persone e di palazzi, "un gomitolo di strade" - avrebbe detto Ungaretti -, in cui i suoni frequenti dei clacson si fondono con il vociare dei passanti, dei giovani seduti al bar, in cui si assaporano con l'olfatto le ricche specialità culinarie - come il celebre souvlaki -, si respira un'aria frizzante e vitale, non ci si annoia mai. Ma Atene è anche la città di piazza Sintagma - quella che si è vista spesso alla televisione -, la capitale della disoccupazione, del degrado, dell'insicurezza sociale, del disordine e della trascuratezza. Dal basso, da ogni via, si può ammirare e compatire la bellezza decaduta di un Partenone sofferente, ancora in piedi grazie a delle asticelle di acciaio. Sembra quasi una riproduzione esatta della nazione di cui è simbolo, con dovizia di particolari, un ritratto pietosamente realistico di una società a pezzi.

Sofia è una giovane madre, vive a Pireo da sempre ed è disoccupata da un anno: lavorava da 30 in un'azienda di trasporti, quando, causa un ampio taglio sui dipendenti, è rimasta senza una paga fissa, unico sostentamento per la sua famiglia.
"La crisi ci ha ucciso!" dichiara con amarezza, il tono di chi non ha più nulla in cui sperare. Né la limpidezza dei cieli, né il chiarore nei volti dei passanti, - crudele? - prerogativa genetica mediterranea, basteranno a cambiare le prospettive di chi dal basso vive in questi tempi delicati.

I giovani in primis, già portati all'incertezza e al dubbio, risentono di tale scetticismo generale e con rassegnazione frequentano scuole dilaniate da continui frazionamenti sugli stipendi del personale - pur detenendo ancora la gratuità dei libri di testo - , conservatrici di un clima demotivante e poco formativo, infatti molto spesso le famiglie sono costrette a ricorrere a lezioni pomeridiane in istituti privati, spesa che grava ulteriormente sulle proprie finanze. Di conseguenza "gli uomini e le donne del domani", proiettati in previsioni negative di un prossimo futuro, risulteranno impreparati ed incapaci di gettare le basi per un sano cambiamento; nell'attuale generazione si riflette già il danno di una classe dirigente corrotta e disorganizzata.

Insomma è evidente che si possono trarre non pochi punti di convergenza con la situazione nel nostro Belpaese. Che questa sia un preludio o un primo stadio degenerativo facente parte di una lunga discesa? Di certo già non possiamo più lasciarci prendere dalla boria di eguagliare gli "Americani" a casa dei nostri cugini mediterranei. Si tratterebbe solo di vanagloria. Visti i tempi, poi, neanche ci conviene: alla fine, tanto, ci sarà un posto nel baratro anche per noi, proprio accanto al loro.