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"Il giovane favoloso": bello e imperfetto

San Benedetto del Tronto | È finalmente uscito nelle sale cinematografiche il tanto atteso film di Mario Martone dal titolo “Il giovane favoloso”, incentrato sulla vita del poeta Giacomo Leopardi.

di ELVIRA APONE

Elio Germano

Mossa soprattutto da un interesse personale nei riguardi della figura e dell’opera di quello che può essere considerato uno dei più grandi poeti al mondo, ho deciso di vederlo, nonostante non sia un’appassionata di cinema. Inoltre, il fatto che sia stato girato in prevalenza nella nostra regione e che proponga sul grande schermo luoghi a me, e a molti di noi, familiari ha ulteriormente stimolato la mia curiosità nonché una sorta di senso del dovere, diciamo pure un dovere morale che noi, marchigiani oriundi o di adozione, dobbiamo sentire nei confronti di un così illustre concittadino. Inutile dire, quindi, che l’ambientazione geografica del film è quanto mai reale e, a mio avviso, primi fra tutti ne escono vittoriosi proprio la campagna marchigiana, con i suoi campi arati, i frondosi alberi mossi dal vento, il colle dell’Infinito, Recanati, con l’ormai famosa piazzetta e le stradine di ciottoli, e la basilica di Loreto, almeno per noi del posto facilmente riconoscibili.

Più avvolte nell’ombra e, quindi, più indistinte mi sono, invece, sembrate Firenze e Napoli; Firenze emerge soprattutto nei salotti signorili e nelle inquadrature del fiume, che si presume sia l’Arno, ma, in generale, non mi pare ampiamente caratterizzata nei suoi tratti più distintivi e nelle bellezze che tutti noi le riconosciamo; Napoli, fatta eccezione per le due fugaci inquadrature del palazzo reale e per le splendide immagini finali del Vesuvio, è rappresentata soprattutto attraverso i suoi vicoli, le taverne, i caffè, elementi certo non trascurabili, ma che, secondo me, non ci permettono di distinguerla inequivocabilmente. Ben reso, invece, mi è parso il rapporto del Leopardi con la sua famiglia: il dispotismo e il conservatorismo del padre Monaldo, che teme ogni possibile influenza rivoluzionaria sul figlio e che gli impedisce, almeno inizialmente, di abbandonare Recanati; l’austerità e il bigottismo della madre Adelaide, che la porta a una severità eccessiva e a un atteggiamento distaccato verso i propri figli; il profondo affetto che lega Giacomo al fratello Carlo e alla sorella Paolina; il suo comportamento formale con lo zio, intransigente sostenitore dei duri metodi educativi del cognato Monaldo. E altrettanto ben delineati mi sono sembrati sia il rapporto del Leopardi con il letterato e amico Giordani, sia quello con Antonio Ranieri, esule libertino e spirito libero, ma sinceramente affezionato a Giacomo, oltre che suo grande estimatore.

Brillante è poi sicuramente l’interpretazione di Elio Germano che è riuscito, a mio avviso, a impersonare Leopardi immedesimandosi sia nel suo aspetto fisico, sempre più deforme, sia nel suo carattere sognante e contemplativo, timido e riservato, spesso irascibile e malinconico a causa delle sofferenze fisiche e morali. Quando dichiara di essere infelice, quando afferma che il suo dolore nasce dall’intelletto e non da una condizione di inferiorità fisica, quando spiega che il dubbio implica saggezza emerge con nitidezza e potenza espressiva l’uomo Giacomo, colui che prima di essere un poeta, un filosofo, un pensatore straordinario era un essere umano fragile e indifeso, desideroso di scoprire il mondo, nonostante fosse “il peggiore dei mondi possibili” e capace di trovare conforto al suo dolore soltanto nello studio e nella scrittura dei suoi versi. Ma proprio questi suoi versi, la sua poesia, mi sono mancati mentre guardavo il film. Nonostante ci siano diversi momenti poetici e a dispetto della bellissima e toccante chiusura con le splendide parole tratte da “La ginestra”, il suo testamento poetico, il suo addio al mondo e alla vita pieno di vigore e di speranza, ho avuto la sensazione di non averne ascoltati abbastanza. In fondo ero lì, a guardare un film su Leopardi e il contesto mi sembrava ideale per sentire recitare le sue poesie.

Avrei indugiato di più sulla sua giovinezza a Recanati creando nel film ulteriori momenti in cui il poeta si abbandonava alla creazione: per esempio, alla morte di Silvia, ovvero Teresa Fattorini, vicenda peraltro rappresentata nel film, avrei fatto recitare a Giacomo Leopardi/Elio Germano alcuni dei versi dedicati alla giovane; oppure, per fare solo qualche altro esempio, gli avrei fatto pronunciare almeno alcune strofe di “Il sabato del villaggio” o di “La quiete dopo la tempesta” o di “Il passero solitario”, magari legandoli a episodi e luoghi concreti della vita recanatese che il Leopardi sapeva assai bene osservare e ricreare. Tutto sommato, però, credo che sia un film da vedere, da assaporare attimo dopo attimo, scena dopo scena; un film che ci fa tremare e soffrire insieme al sommo poeta, che ci commuove e ci emoziona e che, per quanto mi riguarda, mi ha lasciato in bocca il magico sapore della sua arte e il desiderio, ancora non del tutto appagato, di riscoprire i suoi versi, e non solo quelli, ma tutta la sua opera, frutto di una mente geniale e di un’anima sensibile e sublime.

23/10/2014





        
  



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