In morte della democrazia
San Benedetto del Tronto | Abbiamo ancora la certezza di vivere in uno Stato democratico? In questo periodo più che mai necessitiamo di punti di riferimento e di tutele che dovrebbero essere garantite dalle Istituzioni, ma gli ultimi avvenimenti non ne danno una prova certa...
di Alice Galasso
scontri tra operai e polizia a Roma
Un minuto di silenzio, è lutto nazionale: la Democrazia è morta.
Il giorno 25 ottobre dell’anno 2014 è avvenuta la constatazione ufficiale del decesso: “il diritto di sciopero dei dipendenti pubblici verrà limitato”. Queste parole scalfiscono come frecce la già fragile corazza dell’inalienabile diritto alla “libera espressione”.
La classe politica odierna fa uso massiccio di un velo di ipocrisia, tessuto con falsi populismi e intarsiato di consultazioni in rete, frequenti apparizioni sulle piazze virtuali - apre le braccia e tende il saluto esaltando le folle dall’alto di balconcini monumentali analogamente a note personalità del secolo scorso ormai condannate a pie’ sospinto alla “damnatio memoriae”.
Piazza San Giovanni, Roma. Eravamo un milione a manifestare per l’articolo 18, per la dignità dei lavoratori, per il futuro degli studenti - che non sarà “solo l’inizio”.
Disillusi, velleitari, idealisti nostalgici, avanzi della vecchia sinistra, tali siamo stati definiti dall’altra sponda della “piazza”, ovvero la Lepolda, il “contenitore di idee” che altre “idee” non ha accolto se non quelle di aitanti finanzieri “2.0”.
Più che adeguata, a proposito, è stata la scelta del termine “contenitore” in quanto implica una certa limitatezza ed un esclusivismo propri dell’oggetto, il quale di per sé non preclude una possibilità di dialogo - pur apparente - e di sintesi feconda propedeutica ad un sano cambiamento.
Intanto la disperazione è dilagante: gli operai si riversano per le strade di Roma chiedendo “lavoro per vivere dignitosamente”, la riscossione dei salari, chiarezza sul nuovo piano industriale.
Giunti ai piedi del palazzo del Ministero dell’Economia, quello che avrebbe dovuto essere un pacato corteo volge in tragedia: gli esuberi della AST di Terni, costituenti la maggior parte dei dimostranti, vengono travolti da quel plotone di caschi blu che rappresenta le nostre autorità.
Nei video diffusi in rete non riusciamo a distinguere i loro volti: la scena mi ricorda un vecchio dipinto ad olio di Goya, raffigurante gli ultimi drammatici istanti di vita di un condannato e dei suoi compagni, circondati da questi soldatini compatti che sembrano quasi inanimati, come a risaltare il loro ruolo di freddi esecutori degli ordini superiori.
La foga dei manganelli sordi alle urla dei disperati colpisce indistintamente questo o quell’altro cranio e il numero dei feriti va in crescendo. Sempre più marcata è la proiezione di una situazione di caos generale - ergo di un cosmos apparente e ingannevole - che fa da cornice alla particolare sequela dei suddetti avvenimenti.
Allo stesso modo è ormai evidente come la necessità di mantenere tale “equilibrio” comporti una compensazione dall’altra parte perché - secondo una delle fondamentali leggi della fisica - “ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”, dunque ad ogni sciopero corrisponderebbe una repressione della medesima intensità.
Tuttavia dobbiamo ammettere che gli enunciati non sono che pura teoria, la quale non sempre trova un’esatta corrispondenza nella realtà dei fatti: figuriamoci, poi, nel nostro caso, in assenza di un commisurato senso di giustizia.
Ci troviamo dinnanzi ad un decadimento dei capisaldi della rappresentanza del volere popolare, gradualmente sostituiti da fantocci che ne fanno le veci interpretandone a loro modo i bisogni più impellenti - come, tra l’altro, quello di un buono spesa in più. Intaschiamo un paio di banconote e improvvisamente il Paese non è più affamato.
Nel frattempo, mentre noi saremo occupati a spenderle, taglieranno fuori le minoranze dal Parlamento, attenendosi alla linea dettata dalle ristrettezze di questo periodo che non permettono certo di dar voce alle varie sfaccettature sociali.
E dati i tempi, giusto che ci siamo, risparmiamo anche sulla democrazia.
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01/11/2014
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