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Non tutto l'oro luccica

San Benedetto del Tronto | "Ritengo necessario celebrare l’esistenza di qualcosa che mi ha dato molto e che spero abbia avuto lo stesso effetto su tanti altri: il Bitches Brew Jazz Club".

di Andrea Castelli

Probabilmente non tutti sanno che a San Benedetto esiste un importante Jazz Club.
Com’è anche probabile che non a tutti ciò possa interessare.

Ma la cosa importante ora non è pensare a chi l’esistenza di questo luogo possa fare piacere o a chi susciti una certa indifferenza, bensì ritengo necessario celebrare con quello che é l’unico mezzo in mio possesso, l’esistenza di qualcosa che mi ha dato molto e che spero abbia avuto lo stesso effetto su tanti altri: il Bitches Brew Jazz Club.

Ma il B.B. non è solo un jazz club, definizione che, e molti qui saranno d’accordo con me, appare riduttiva.
E’ molto di più.

Innanzitutto non è solo jazz. O meglio, non lo è nel senso omologato e riduttivo del termine.
E’ buona musica, è generi diversi, è tutto cio’ che puo’ stimolare i sensi in maniera genuina e naturale, è vera musica, quella che viene dal cuore.

In questo senso calza a pennello la definizione che da il grande Pat Methini di quello che lui considera il vero Jazz:
”..è jazz tutta la musica che viene da qui (cuore, ndr) e che riesce a venir fuori da sola semplicemente prendendo lo strumento in mano. Improvvisazione. E che procuri forti emozioni”.

Il jazz funziona un po’ come il famoso flusso di coscienza Jungiano, come un mezzo per esternare quello che si tiene nascosto dentro, anche i sentimenti e le emozioni che si vorrebbe rimanessero celate per sempre.
Solo in questo modo possono venire fuori.
Prendendo in mano uno strumento e suonando, improvvisando,”esternando”.

Il Bitches Brew in questo senso è anche un club creato da persone che amano la musica, la buona musica, quella importante.
Creato per coloro –fortunati- che amano e sono capaci di apprezzare quella stessa musica.

E’ nato ormai sette anni fa, grazie all’iniziativa e alla volontà di un uomo che aveva la musica nel cuore, colui che fu il primo presidente, Francesco Rauchi, purtroppo prematuramente scomparso e al quale va il mio più affettuoso ricordo, anche perché fu proprio lui ad “iniziarmi” a quel magico mondo.

E a lui è dedicato ormai da qualche anno quello che è divenuto un appuntamento imprescindibile della realtà culturale e musicale sambenedettese, ovvero il tradizionale concerto gospel che si tiene sotto il periodo Natalizio nella chiesa di San Antonio da Padova, e che vede avvicendarsi alcuni tra i cori più validi della scena internazionale.

Ed è nato e soprattutto cresciuto nel tempo grazie anche all’impegno concreto di coloro che hanno lavorato e continuano a lavorare con grande umiltà al progetto e che oggi ne sono le colonne portanti: il presidente e direttore artistico Sandro Balducci, il vicepresidente Luigi Pignotti, Sergio Trevisani responsabile delle relazioni con la stampa, Angela Rauchi per la segreteria, Giuseppe Spalazzi e tutti gli altri che fanno parte della efficente macchina organizzativa.

E proprio grazie all’unione di queste persone, il nostro jazz club puo’ vantarsi di richiamare ai propri concerti un pubblico proveniente non solo dal nostro comprensorio, ma da molte altre zone d’Italia, estendendo così di molto i propri confini.

Appassionati che arrivano da lontano ad assistere ad esibizioni di artisti sulla cui qualità non si è mai potuto discutere, semmai sulla loro celebrità nei confronti del “grande” pubblico.

Un qualsiasi appassionato di “Jazz”, che venisse a sapere ora dell’esistenza di questo club e scorresse per curiosità e per la prima volta la lista dei concerti che si sono tenuti durante questi ultimi sette anni, rimarrebbe, e credo che qui io non possa proprio essere smentito, semplicemente allibito nonchè piacevolmente sorpreso nel leggere i nomi degli artisti che si sono avvicendati sul palco dei locali sotteranei dell’hotel International (perché è proprio qui che si svolgono i concerti).

E’ sconvolgente infatti pensare che in una realtà piccola come la nostra (sambenedettese) possano essere passati personaggi la cui grandezza nella quasi totalità dei casi è stata ampiamente riconosciuta a livello mondiale, grazie a premi, spaventose quantità di dischi venduti o semplici riconoscimenti come migliori strumentisti di un determinato anno.

Hanno suonato nel club che prende il nome dal disco-capolavoro di Miles Davis ( e credo di non aver bisogno di aggiungere altro), artisti del calibro di Scott Henderson, chitarrista più volte premiato da prestigiose riviste, di Joe Zawinul, di John Patitucci, probabilmente il miglior bassista di genere al mondo.

O ancora Hiram Bullock, Alain Caron, Dave Weckl e Steve Smith, due fra i più grandi batteristi viventi..

E come non ricordare Brad Meldhau, considerato insieme a Keith Jarrett il più preparato, fantasioso e famoso pianista jazz del pianeta.

Naturalmente non è mancato spazio in questi anni neppure per la musica italiana.
E qui è doveroso aprire una piccola parentesi: non tutti sanno infatti che l’Italia è il secondo paese “produttore” al mondo, naturalmente dopo gli Stati Uniti, di musica Jazz, ma soprattutto di artisti che ci regalano meritato onore nell’intero panorama mondiale, suonando (ed emozionando) nei più esclusivi club del mondo, da New York a Parigi, da New Orleans a Londra.

Artisti del calibro di Roberto Gatto, Rosario Giuliani, Fabrizio Bosso, Danilo Rea…
Che ovviamente non hanno mancato di esibirsi anche nel nostro Club.

Avvicendandosi, collaborando tra loro, molti sono tornati più di una volta, ora da protagonisti, ora da accompagnatori o da semplici partecipanti ad esaltanti jam session.

Artisti che per valori assoluti si potrebbero con facilità paragonare alle più celebri e famose star del mondo della musica nei vari generi.
Come a dire, senza forzatura di sorta, che sul palco del Bitches Brew si siano esibiti i Michael Jackson del pop, o i Rolling Stones del Rock, o i Robbie Williams della musica amata dai giovani

Tutto questo è andato negli anni a riempire un palmares con circa 72 concerti contenuti in  programmi che non hanno nulla da invidiare ai più conosciuti e rinomati club italiani, come i romani “La palma” e “Alexanderplatz”, tanto per citarne alcuni.

Peccato che, come accade per tutte le cose più belle e meritevoli, le quali sempre più spesso coincidono “purtroppo” anche con le meno popolari, a volte non venga dato il giusto peso ad eventi che meriterebbero maggiore stima e considerazione, ottenendo solo una parte di essa, o essendo sottovalutati come è divenuta abitudine in certi ambienti che potrei definire (evitando aggettivi tipo “disinteressati” o “superficiali”, con i quali rischierei di essere polemico) “pigri”.

San Benedetto ha l’onore di ospitare quello che in passato è stato collocato tra i primi 5 jazz club italiani.
E’ un tesoro di tutti noi, forse nascosto, ma c’è ed è di rara preziosità.

Si dice che non è tutto oro quello che luccica.
Purtroppo a volte è vero anche il contrario.

Basta saper cercare.

21/01/2005





        
  



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