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I calcoli compensativi della giustizia producono la perdita di fiducia

San Benedetto del Tronto | La legge è uguale per tutti, principio valido sino a quando la formazione dei giudici, scevri da ideologie, era fonda-ta sull’equilibrio processuale, comportamentale, e sulla terzietà.

di Gian Luigi Pepa


Con due precedenti articoli pubblicati su ilQuotidiano.it nel 2006, rispettivamente il 26 settembre: “Il clandestino povero è autorizzato a restare in Italia”, ed il 6 ottobre: “A proposito di cassazione e di clandestini”, si mettevano in rilevo due precedenti della Corte di Cassazione, prima sezione penale, la sentenza n.30774 del 18.09.2006 e la n.31426 del 21.09.2006, il cui thema decidendum è sempre riferito a questioni relative alla clandestinità.

Con la sentenza n.957 depositata il 16 gennaio 2007, la Prima Sezione Penale della Corte Cassazione torna sulla que-stione clandestini, in riferimento all’impugnazione della sentenza della Corte di Appello di Milano, la quale in parziale accoglimento dell’appello proposto dal sig. Neagu Marian imputato, per omicidio e rapina ai danni di Ferrua Carlo ri-duceva la pena inflitta, riconoscendo le attenuanti generiche, ritenute equivalenti all’aggravante della crudeltà, ad anni 17 mesi e 4 di reclusione e confermava nel resto la sentenza di primo grado.

Nei fatti, risulta dalla confessione dello stesso imputato che nella notte tra il 18 e il 19 novembre 2003 il Neagu ucci-se il Ferrua presso l’abitazione di quest’ultimo e quindi si impossessò di denaro, del cellulare, di alcuni oggetti prelevati presso la stessa casa del Ferrua.
L’omicidio era avvenuto nel quadro di una relazione omosessuale che da qualche giorno era iniziata tra i due.

L’aggravante di avere agito con crudeltà sarebbe conseguente alla particolare efferatezza dell’omicidio, eseguito con numerosi colpi inferti sul cranio con un corpo contundente: il volto era devastato, con le regioni orbitali tumefatte, la regione nasale assai gonfia, fuoriuscita di sostanza ematica dalle narici; mani e piedi erano legati.

Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Milano, proponeva ri-corso per Cassazione sul punto delle attenuanti generiche, concesse in sede di appello.
Il ricorso dà atto che in primo grado le attenuanti generiche erano state escluse in considerazione della brutalità dell’ aggressione e dell’indifferenza dimostrata per l’agonia della vittima in quanto l’imputato, dopo avere ripetutamente col-pito il Ferrua e dopo averlo legato mani e piedi, si era trattenuto nell’abitazione dello stesso per oltre un’ora mentre la vittima agonizzava.

La Corte d’assise d’appello, invece, non aveva motivato le ragioni per le quali aveva concesso le attenuanti generiche, limitandosi a fare riferimento alla giovane età dell’imputato, alla sua condizione personale, caratterizza-ta da uno stato di emarginazione sociale e di arretratezza culturale, tralasciando di considerare che nell’eseguire il delitto, il Neagu aveva inutilmente infierito in modo brutale sul corpo della vittima, ormai ridotto del tutto all’ impoten-za, con cieca violenza.

La Suprema Corte nell’enunciare che la motivazione nella sentenza d’appello appare congrua ed adeguatamente motivata, in riferimento all’estrema efferatezza del delitto ed alle attenuanti rappresentante, in un criterio comparativo attraverso una valutazione di equivalenza con le attenuanti generiche, dichiara inammissibile il ricorso, precisando, che la Corte d’assise d’appello ha dato conto, sia pure in modo sintetico, ma certo non illogico, delle ragioni per le quali è stata ritenuta l’attenuante, in forza della norma che concede al giudice di prendere in considerazione circostanze di-verse da quelle disciplinate dal codice, “…qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena”.

Pertanto le condizioni sociali sopra indicate, valutate in un giudizio di comparazione rispetto all’aggravante di aver a-doperato sevizie, o l’aver agito con crudeltà verso le persone, in conseguenza alla ferocia dell’azione lesiva, avrebbero fatto pervenire, quindi, ad una valutazione di equivalenza.
Questa la sentenza, ed i principi di diritto che consentono ai giudici l’applicazione della legge, anche secondo un pro-prio discernimento logico giuridico dei fatti che gli vengono sottoposti a giudizio.

Sussiste, però, un limite al libero discernimento dei giudici, e cioè l’applicazione delle attenuanti generiche non può es-sere inteso come oggetto di una benevola e discrezionale concessione del giudice ma come il riconoscimento di situa-zioni non contemplate specificatamente, che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva e particolare considerazione da giustificare una diminuzione della pena, cioè situazioni e circostanze che ef-fettivamente incidano sull’apprezzamento della quantità del reato e della capacità a delinquere dell’imputato.

Quel che sconcerta è il dictat enunciato in sentenza, che in pratica concede un occhio di riguardo al reo se è arretrato culturalmente ed emarginato sociale, ma non ad un qualunque senza tetto, ma solo ad immigrati clandestini che siano senza uno stabile lavoro e senza residenza.
Sullo stesso argomento ho letto con interesse l’articolo di Laura Ripani, che focalizza l’attenzione su: 1) l’uguaglianza di fronte alla legge; 2) la perdita di fiducia nella giustizia; 3) il principio della rieducazione del reo.

Esattamente tre punti fermi che sostengono e legittimano l’esistenza di uno stato civile, il cui scardinamento di uno di questi punti fermi non può che creare sfiducia, non solo nei confronti della giustizia, che è la base dell’ordine sociale, ma del patto sociale stesso.
Problemi già posti all’attenzione dei lettori da Giuseppe Orsini con l’articolo del 28.9.06: “Sono un cittadino italiano di-scriminato….”.

La legge è uguale per tutti, principio valido sino a quando la formazione dei giudici, scevri da ideologie, era fonda-ta sull’equilibrio processuale, comportamentale, e sulla terzietà.

24/01/2007





        
  



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