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Se per caso i bimbi… studiassero Platone

San Benedetto del Tronto | Il gioco dei perche' insegna a pensare.

di Tonino Armata

Il mito della caverna di Platone diventa una favola che appassiona i bambini perché tutti hanno vissuto l'esperienza di non essere creduti. In una caverna vivono dei prigionieri i quali vedono solo ombre. Una di loro si libera e racconta ai compagni che esiste un altro mondo fatto di luce, ma loro non gli credono e lo minacciano di morte. Dal tema generale che è la globalizzazione e la pluralità di culture, diventa un gioco per esempio, attingendo alla filosofia giapponese, si esplora il giardino di zen, un tappeto sotto il quale sono nascosto sensori che attivano suoni e immagini.

I filosofi in erba hanno dai tre ai dodici anni. Osservano cieli stellati e caleidoscopi ricreando i mondi immaginari della filosofia. Ma soprattutto fanno domande, si cimentano nella dialettica aiutata da genitori e insegnanti. Si chiedono dove comincia e finisce l'universo, perché bisogna ubbidire, perché si muore, se esiste Dio, se gli uomini e donne sono tutti uguali.

Perché, oltre l'inglese, non s'introduce anche la filosofia nelle scuole elementari? I bambini si pongono domande filosofiche intorno ai tre/quattro anni, età che gli psicologi definiscono dei "perché". Sono dei perché a cui di solito gli adulti non sanno rispondere o liquidano nel repertorio delle ingenuità. Ma non è così, perché a quattro anni, quindi con due anni d'anticipo sull'età scolare, i bambini s'aprono allo stupore del mondo e, come Aristotele insegna: "La filosofia nasce dalla meraviglia" e perciò pone domande e interrogative. A scuola si trasmette un sapere strutturato che non sempre corrisponde all'interrogazione che ha sollecitato la curiosità del bambino, perciò tra il sapere impartito e la domanda iniziale inevasa si produce quella distanza che genera disinteresse. Infatti, non si può avere una vera partecipazione a risposte che evadono le domande con cui il bambino cerca di orientarsi nel mondo, chiedendo chi l'ha fatto, e perché è così malvagio, e che necessità c'è di morire, e perché non tutti i bambini sono bianchi, e non tutte le parole si capiscono.

Queste domande non sono ingenue, sono radicali; offrono pochi giri di parole alle risposte e vanno evase non con un discorso che dice: "Le cose stanno così", come di solito fanno i saperi che s'impartiscono a scuola, ma con un discorso, come quello filosofico, che insinua il sospetto che potrebbero anche essere diversamente.

Questo sospetto che non sigilla la domanda in una risposta, ma la tiene aperta ad un ventaglio di possibili risposte, tutte giustificate dalle rispettive argomentazioni, apre il campo alla pluralità delle opinioni, quindi alla tolleranza, quindi alla democrazia, figlia della tolleranza. Il sospetto, inoltre, consente alla mente di ospitare il dubbio, che evita il dogmatismo e dispone alla ricerca, che non è un corto circuito di domanda e risposta, come la televisione ogni sera diseducativamente insegna con i sui quiz, ma è un saper stare nella domanda, finché una risposta non si presenta come plausibile e, nella sua provvisorietà, superabile.

La scuola insegna risposte, spesso a domande che non ci siamo mai poste, ma è la domanda e non la risposta il vero motore della ricerca e della costruzione del sapere. Amiche della domanda sono sia la curiosità infantile, sia la condotta filosofica. E se l'infanzia genera l'interrogazione nella sua radicalità, la filosofia insegna a mantenersi nell'interrogazione, per non seppellire il cervello tra le opinioni diffuse, i quali rispondono non tanto alle nostre domande, quanto al desiderio di evitare il più possibile la fatica del pensiero.

L’anno scorso il Festival della filosofia di Modena (al quale ho partecipato) ha promosso la filosofia tra i bambini, con l'intenzione non tanto di fornire risposte, quanto d'insegnar loro l'atteggiamento filosofico, che è poi quello di non accontentarsi mai della risposta. Quando quest'atteggiamento entrerà nelle nostre scuole? Se ciò non dovesse accadere dovremo affermare che nelle nostre scuole, quando va bene, s'impartisce solo istruzione, e non educazione della mente, con tutte le conseguenze disastrose in età adulta, come ogni giorno c'è dato constatare.

03/02/2005





        
  



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