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Sant'Antonio a San Benedetto, due santi per una truffa

San Benedetto del Tronto | Grazie al servizio di STRISCIA LA NOTIZIA gli Agenti del Commissariato di San Benedetto del Tronto denunciano autrice della catena di S. Antonio.

di Sabrina Cava

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A firma del portavoce della Questura,  V.Q.A. dr. Guido RICONI, in data 1 febbraio 2014 viene divulgato questo comunicato stampa:

 

“Il  30 gennaio 2014, la trasmissione televisiva “Striscia la notizia”, mandava in onda sull’emittente televisiva “Canale5” un filmato girato da quella troupe televisiva in località San Benedetto del Tronto in merito ad una vera e propria “catena di Sant’Antonio” denominata “finanza informale” organizzata da una donna la quale si faceva consegnare somme di danaro comprese tra le 250  ed 1.000 €uro dai propri clienti, fidelizzati attraverso il sistema del passaparola, con la promessa di ottenere in futuro un guadagno di 7.000 €uro. 

A seguito del servizio televisivo, personale del Commissariato PS di San Benedetto del Tronto individuava la titolare della “catena di Sant’Antonio”, per M.M., nata nella provincia di Teramo e residente a San Benedetto del Tronto, che veniva denunciata in stato di libertà alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ascoli Piceno.

Gli Agenti del Commissariato stanno effettuando accertamenti supplementari per individuare ulteriori responsabilità”

 

Contemporaneamente al ricevimento di  questo comunicato, ero in conversazione confidenziale con una signora che chiamerò Maria per garantirne l’anonimato come promesso.

 

Maria è un contatto che sono riuscita a trovare grazie ad una mia amica che leggendo di un mio post in Fb inerente all’argomento, si era ricordata di essere stata contattata e di aver ricevuto questa proposta qualche anno prima.

Maria accetta di parlarmi e mi racconta che è la prima volta che riesuma questo ricordo della vicenda, che per lei risale al 2010.

 

Ha perso mille euro Maria, sottratti alla famiglia, di nascosto dal marito, perché, mi dice, era una cosa prevalentemente di donne, tante donne.

La cosa che più l’ha fatta  soffrire è l’aver coinvolto, in perfetta buona fede altre amiche e solo per un’impossibilità economica del momento si è salvata una sua sorella.

 

Nessuna di loro vittime, perché questo sono,  pur conoscendosi ha mai più affrontato l’argomento, una sorta di accordo tacito per cui “se non se ne parla esso episodio non esiste né è mai esistito”.

Ma veniamo ai fatti. Maria nel 2010 viene intercettata da una persona che conosce bene, una persona che godeva della sua massima stima e fiducia, la quale, sapendo del suo momento di difficoltà economica, Maria infatti, era rimasta senza lavoro e aveva bisogno di aiutare un figlio, si era proposta di aiutarla attraverso un gioco sicuro nel guadagno, lecito e divertente.

Sulla liceità mi racconta Maria, si insisteva molto, era la prima cosa che si dichiarava.

Il gioco a cui lei ha partecipato non veniva chiamato la piramide ma “La scatola” e consisteva in pratica in una sorta di gioco dell’oca. Solo colei o colui che arrivava al centro prendeva il denaro, gli altri partecipanti versavano in attesa di scorrere ed arrivare al centro, solo che per arrivare al centro non si lanciavano “ingenui” dadi bensì i mille Euro che una volta versati “costringevano” al reclutamento di altri ingenui “versatori”.

Mi racconta di aver visto con i suoi occhi chi, stando al centro ritirava tra  i 7/8 mila euro.

Alcune donne anche più di una volta, delle “centriste” di professione.

Lei e tantissime altre però e guarda caso, non sono mai arrivate al centro.

La scatola ad un certo punto si spaccava e la catena si interrompeva.

Il gioco era serale, ci si incontrava ora in un’abitazione ora in un’altra, mi racconta di averci incontrato e visto moltissime donne, conosciute, commercianti, uomini pochi benché si ventilasse ci facessero parte, mai saputo né poliziotti né finanzieri.

I fatti che mi racconta sono risalenti appunto a quattro anni fa, mi dice “io so a chi ho dato i miei soldi, a chi quando sono entrata ho versato i miei 1000 euro, e oggi quando la incontro mi fa pure un cenno di saluto, sapendo che lei li ha presi e io li ho persi, io come molti altri, e allora forse sono meno stupita di altri nel pensare a tante Vitton o Fendi appese a certe braccia che altrimenti non si spiegherebbero”.

Le ho chiesto come mai non abbia avvertito l'allarme, non abbia avuto il sentore che il gioco per funzionare e arricchire alcuni avrebbe dovuto necessariamente impoverire altri, e lei per tutta risposta mi ha detto che le componenti su cui si fa conto sono lo stato di bisogno e prostrazione delle persone e la assoluta buonafede di chi entra in gioco.

Le responsabilità allora credo io saArnno difficili da trovare e da addebitare perché bisognerebbe risalire a chi lo ha per primo introdotto e portato a San Benedetto questo circoletto vizioso di promessa del guadagno facile, pare infatti che venga dal Capoluogo di Regione ma, come ho ricordato a Maria, prendere parte a qualcosa di illecito, e questo gioco lo è, come ha ben sentenziato la terza sezione penale della Corte di Cassazione con sentenza 37049/2012 che alle motivazioni recita: «le attività commerciali in cui il beneficio economico deriva dal reclutamento di utenti, piuttosto che dalla vendita diretta di beni o servizi, sono da ritenersi fuorilegge», rende complici nel reato e allora vittima e carnefice si trovano loro malgrado a coincidere.

02/02/2014





        
  



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