L'eclettismo di St. Vincent
San Benedetto del Tronto | St. Vincent "St. Vincent"
di
St. Vincent
"St. Vincent"
Ah i potenti influssi delle discendenze e dell'educazione! Quando nasci in una famiglia numerosa, con fratelli (e sono otto in tutto che ascoltano di tutto!), hai genitori che masticano musica e sei nipote di due geniacci come Tuck & Patti, il risultato non può essere così distante da quel mondo frequentato giorno e notte. E la polistrumentista texana (ma è nata in Oklahoma) St. Vincent, al secolo Annie Erin Clark dimostra di avere nel sangue passione per l'elettronica, il rumorismo, il rock e anche il jazz (furono gli zii a introdurla a Miles Davis).
Versatilissima e a tratti con una visione geniale della complessità di una composizione, St. Vincent si è fatta conoscere più per la sua collaborazione con David Byrne (dopo il loro incontro al Radio City Music Hall nel 2009 in occasione di un concerto per la raccolta di fondi nella lotta contro l'Aids, i due insieme hanno realizzato quel bel lavoro che era "Love this giant" nel 2012) che per la sua carriera solistica iniziata nel 2007 sotto il segno della poesia che l'ha spinta a scegliere il suo nome d'arte grazie all'amore per il poeta Dylan Thomas che morì nel 1953 nel centro medico cattolico di St.Vincent. Dalla frequentazione del Berklee College di Boston alla formazione del suo gruppo, The Polyphonic Spree, passando attraverso il compositore Glen Branca e il cantautore Sufjean Stevens, ma anche nell'amore per i Sonic Youth e i Pearl Jam, St.Vincent ha realizzato quattro lavori di spessore nei quali la complessità e l'uso degli strumenti più svariati (compreso theremin, sequencer, violoncello e strumenti a fiato come nella semifunk "Digital fitness") tessono un tappeto sonoro quasi robotico per le sue melodie spesso accattivanti e dense di ispirazione onirica sempre in bilico tra incubo e immaginazione, "felicità e follia", come è solita dire lei, che traduce in una serie di video di gran livello tecnico nei quali si completa a livello di poliedrica artista.
Appena superata la soglia dei 30 anni Annie Clark raccoglie l'eredità di una Laurie Anderson che attraversa una passerella di moda o di un moderno Todd Rundgren che rivisita l'estetica percorrendo i corridoi di una galleria d'arte. La sua è una lotta perenne tra incubo e liberazione, tra psicopatia e quotidiano, tra femminismo e rimpianto. Emblematico è, a questo proposito, il brano di apertura "Rattlesnake" nel quale descrive un episodio reale della sua vita quando, passeggiando nuda vicino casa sua, si è ritrovata davanti un serpente ("Mio padre -ci fa sapere- era un cattolico convinto ma seguiva molto di più Bertrand Russell che il papa"). Le sue canzoni non sono però sempre ciambelle col buco. Quando centra alla perfezione melodia e arrangiamento diventa molto accattivante e sfiora la magia (la retro "Prince Johnny", la moderna "I prefer your love" e soprattutto "Huey Newton", dedicata al leader delle Black Panther che immagina di incontrare nella sua stanza) ma ogni tanto si perde nella ricerca del brano perfetto studiato a tavolino.
Voto 7/10
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21/02/2014
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