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"Non vogliamo un governo che galleggia"

Ascoli Piceno | "Al di là della apparente e fallace sensazione di essere ringiovaniti di venti anni, rimane, in conclusione della crisi, un senso di amarezza ed impotenza difficili da digerire".

di Salvatore Fiaschi*


La recente crisi di governo, repentinamente e felicemente risolta (per ora), ha chiarito a tutti ciò che era chiarissimo a molti e cioè che abbiamo un sistema politico istituzionale datato e non rispondente alle sfide globalizzanti che la società civile moderna esige.

Di colpo siamo ripiombati in quella che negli anni settanta e ottanta era la prassi politica costante di partiti che bruciavano un governo dopo l’altro, formalmente tendenti alla ricerca di “equilibri più avanzati”, ma in realtà ansiosi di ricoprire quanti più posti di potere possibili. Con tali prassi si rinviavano sine die quelle riforme o quegli interventi legislativi minimi, indispensabili ad una buona manutenzione legislativa.

Al di là della apparente e fallace sensazione di essere ringiovaniti di venti anni, rimane, in conclusione della crisi, un senso di amarezza ed impotenza difficili da digerire. Ci chiediamo, infatti, il motivo per cui un popolo dal grande passato, con una vicenda storica alle spalle di assoluta grandezza, non riesce oggi ad esprimere quella coesione necessaria a partorire un minimo comune denominatore di sistema politico e sociale.

Viceversa abbiamo un sistema politico che invece di concretizzare le spinte innovative proposte dalla parte avanzata e progressista degli opposti schieramenti esprime, al contrario, il massimo comune divisore sulle regole e sulle prospettive civili facendo così il gioco della parte radical-conservatrice presente sia nel centro-destra che nel centro-sinistra.

L’analisi sarebbe lunga e comporterebbe un dibattito approfondito a molte voci, con la partecipazione di intelligenze politiche ed intellettuali di superiore livello che non mancano ma, crediamo noi, impedite da un sistema di selezione politica inadeguata. Tutto ciò è frutto di una concezione vecchia e superata della politica italiana fondata sulla divisione classista e ideologica del popolo nella sua interezza che si esprime sì in rituali e ricorrenti consulti democratici ma ignora che alla base di tutto il sistema politico c’è un cittadino che se ne infischia se vincono gli uni o gli altri, ma che dagli uni o dagli altri si attende leggi e provvedimenti che aumentino il benessere economico dei cittadini ed il suo senso di appartenenza alla comunità.

Quest’ultima crisi politica si è risolta solo perché ci si è resi conto che equilibri più avanzati non ce ne sono se non a costo di rinunciare a sedere sui comodi e strapagati (da noi) scranni presidenziali e ministeriali.

Del famoso programma sbandierato come la stella polare della coalizione e dettagliato su 281 pagine messo nero su bianco dalla famosa “fabbrica del programma” cosa ne è stato? Il lavoro di tanti scienziati è stato ridimensionato al limite dell’anorressia politica in quanto ridotto ad una singola paginetta su cui il governo ha ottenuto il nuovo voto di fiducia. Il nuovo programma è composto di dodici punti “condivisi e vincolanti” frutto di un diktat del Presidente del Consiglio che i segretari dei partiti dell’Unione si sono ben guardati dal firmare, lasciandosi così le mani libere per il futuro.
Meglio poco che niente dice un vecchio adagio e forse è meglio così perché i piccoli passi sono quelli più produttivi, sempre che vengano attuati.

Di questo siamo alquanto scettici perché nei giorni successivi le fervidi menti di alcuni esponenti di primo piano della nuova maggioranza hanno già cominciato a parlare di “maggioranze variabili” cioè di leggi approvate via via con il concorso occasionale di altre forze della minoranza utile a mantenere in piedi una coalizione sgangherata ed ancora alla ricerca di approdi definitivi stante le indecisioni sul progetto del nuovo partito democratico da parte dei due maggiori partiti della coalizione.

In ogni caso il Presidente della Repubblica è stato chiaro quando ha detto che, al momento, non vi sono le condizioni per sciogliere il parlamento in quanto con l’attuale legge elettorale potrebbe ripetersi l’attuale situazione con una camera senza una maggioranza sicura. Occorre, allora, mettere mano ad una legge elettorale in grado di garantire la governabilità del sistema ma prima ancora occorre che le forze politiche maggiori si depurino delle scorie antisistema presenti in entrambi gli schieramenti e che condizionano pesantemente l’attività governativa.

Bisogna assumere consapevolezza che un piccolo partito e piccoli movimenti, benché portatori di valori sicuramente validi e condivisibili, non possono ostacolare la normale attività di governo fino a provocarne la paralisi.

L’assenza di un governo o peggio un governo debole, è deleteria per tutto il paese e l’Italia, nella situazione in cui versa e con i timidi segnali di ripresa economica registrati, non se lo può permettere.
Non vogliamo un governo che tiri a campare ma un governo che campi per tirare il paese fuori dalle difficoltà economiche, che rispetti gli accordi internazionali, che garantisca la sicurezza dei cittadini e che metta in piedi, con il concorso dell’opposizione, una legge elettorale decente con la quale andare a nuove elezioni.

Senza aspettare la decorrenza dei due anni, sei mesi ed un giorno necessari ai parlamentari di nuova nomina per maturare il diritto al vitalizio.
I cittadini sono stufi dei privilegi dei loro rappresentanti e sarebbe un vero segnale di svolta e di rispetto dei tanti pensionati e lavoratori di questo paese che vivono al limite della sopravvivenza far si che non si realizzi quest’altro sopruso.

*Vice Presidente del Movimento Elia – www.movimentoelia.org.

12/03/2007





        
  



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