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Intervista a Paolo Annibali

| La scultura tra ricordo e racconto

di Benedetta Trevisani

Paolo Annibali, nato alla fine degli anni cinquanta a San Benedetto, dove attualmente insegna al Liceo scientifico, svolge la sua attività di scultore a Grottammare. Ha alle spalle numerose mostre personali e la partecipazione a importanti mostre collettive accanto a nomi prestigiosi. Sta vivendo ora  un intenso momento di grazia artistica per la fecondità della sua ispirazione e per l'attenzione che viene dedicata alla sua opera in grandi centri della cultura e dell'arte. Eppure Paolo Annibali appartiene alla categoria di artisti che restano agganciati alle loro radici territoriali, trovando in esse il nutrimento per un'arte che, a partire da lì, riesce ad esprimersi in forme e linguaggi artisticamente evoluti e capaci di superare i confini territoriali. La porta realizzata qui da noi  per la chiesa di San Filippo Neri è tra le quattro più rappresentative espressioni artistiche di tema religioso citate da Timothy Verdon, storico dell'arte statunitense, nel libro L'arte sacra in Italia. L'immediato futuro si prospetta ricco di eventi per l'artista che in maggio,  dopo l'apertura della porta di bronzo  da lui realizzata  per la chiesa di San Giovanni Battista decollato in Fiesole, inaugurerà sempre a Fiesole una personale di arte sacra nell'ambito di un più ampio progetto culturale. 

Tu sei nato e ti sei formato qui nella provincia. Come o quando è nato l'interesse per l'attività di scultore che stai svolgendo?
Più che d'interesse parlerei di febbre. L'interesse c'è sempre stato (direi meglio passione). Interesse che si è tramutato in febbre quando, da una dimensione esclusivamente privata del lavoro, è nata l'urgenza di mostrarlo. Allora non c'erano spazi per lavorare, né tantomeno per esporre. Qualcuno ricorda le collettive alle Caselli? Direi così: la professione è nata nel momento in cui alla scultura ho voluto dare una fama pubblica. 

Attraverso quali tappe sei giunto  alla meta attuale?
Non parlerei di tappe. La scultura è una disciplina severa, a molta fatica corrisponde un cammino fatto di piccoli passi. C'è sempre molto da fare. 

A quali progetti stai lavorando ora?
Sto lavorando molto sul tema del sacro. Dal mio punto di vista rifugiarsi nella dimensione del sacro significa conquistare qualcosa di durevole che investe il quotidiano e apre un percorso alla speranza. Significa cioè sottrarre al contingente gli aspetti della quotidianità per una più compiuta attribuzione di senso. 

Il tuo monumento ai Caduti e Dispersi del Mare collocato sul porto esprime anche e soprattutto l'augurio di un ritorno. Per te personalmente che cos'è il ritorno?
Non sono mai andato via. Ritorno, quindi, si identifica in ricordo: di quando si rovistava nel porto, nei vicoli del Paese Alto. San Benedetto non ha mai offerto scorci suggestivi, luoghi d'ispirazione, ma ho sentito sempre forte il richiamo al lavoro, alla lotta per migliorare la propria condizione umana. Le case, le facciate, i materiali con cui erano costruite, tutto questo ha sempre offerto la visione di una vita affannosa. E poi il mare…  

Questo vuol dire che il luogo d'origine conserva una presenza forte nell'opera o nell'attività ?
Forte, sì. Chi fa un'attività creativa pesca sempre nel serbatoio dei ricordi. Spesso, per me, proprio l'associazione tra cose passate e l'ansia contemporanea crea quel cortocircuito che è all'origine di un'opera.

17/03/2003





        
  



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