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La luce di Vasco Brondi

San Benedetto del Tronto | Le Luci della Centrale Elettrica "Costellazioni"

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Le Luci della Centrale Elettrica

"Costellazioni"

Chi stabilisce oggi il valore della musica? Chi classifica i dischi in base agli stati dell'arte? Chi determina un qualsiasi passaggio televisivo? Chi sceglie Sanremo come specchio dei tempi? Chi anticipa il futuro? Chi crede ancora al futuro?
Se un tempo c'erano risposte con ampia possibilità di sicurezza, oggi quello che regna è il dubbio. E Vasco Brondi, l'illuminato profeta della Centrale Elettrica, attraversa questa incertezza con una densità che brucia note, parole, emozioni, sogni e le stesse canzoni, quelle degli ultimi anni, quelle delle generazioni degli anni Duemila, quelle il cui linguaggio non ha nulla a che vedere con le classifiche, la Tv, Sanremo e lo stesso futuro.

Se al suo esordio Vasco Brondi snocciolava, sulla scia del primo narrativo Dylan (emblematici sono i cartelli con le parole del testo di "Subterranean homesick blues" che scivolavano a terra, uno a uno), parole pesanti, generazionali, spesso disperate e senza futuro, oggi, nel totale disastro sociale della deriva economica, egli evita di piangersi addosso ("è inutile proteggersi dai migliori anni e nel disastro il futuro era sempre lì a sorriderci" come canta in "Macbeth nella nebbia") e vede la luce in un cielo ricco di costellazioni e di santi protettori.   C'è un comune denominatore tra questi versi che pesano come macigni nostante la leggerezza di una canzone. E' un asse che attraversa l'artista e lo trafigge sulla strada che collega la Bassa Padana e la luna. Coi piedi fissati per terra, Vasco affronta viaggi intercontinentali, salgariani, densi di trepidazione e di incanto di fronte alla notte e alle stelle, alle Costellazioni e ai Satelliti governati da un Padre Nostro dispensatore di linee internet e di password, un dio che illumina le stanze con gli schermi blu dei computer, un dio da pregare per la fine della gioventù ("Dio onnipotente dammi una lavoro qualunque e una linea della vita bella e illeggibile" canta la melodia di "Padre nostro dei satelliti").

Se una critica poteva essere rivolta in passato a Le Luci della Centrale Elettrica c'era quella di una linea sottile o spessa, a seconda delle angolazioni, che sviscerava, con tre-accordi-tre di chitarra, le pesanti parole delle canzoni appese ad un eterno e, per qualcuno noioso, giro armonico. Alla terza prova, "Costellazioni" scardina in un colpo solo tutto il passato. La voce di Vasco canta, la melodia inonda spesso le orecchie, gli strumenti suonano come non avevano mai fatto prima. E' un lavoro serio, complesso che ha avuto bisogno di un gran lavoro di cesello, sul testo, sulla metrica, sulla melodia. C'è dentro il mondo, ci sono i viaggi e la cultura, ci sono le constatazioni di un passato in cui si mescolano gli anni Ottanta di Battiato, i punk sentimentali e l'America dei Sonic Youth, il blues del Mississippi giunto per mare nel Delta del Po e i giochi letterari di Morrissey e le citazioni di Tacito e Memo Remigi che si incrociano tutte in un "Bar della Via Lattea" accompagnate dai giochi elettronici di Federico Dragogna (dei Ministri), i suoi ricami, i colori aggiunti, il rimescolamento di carte campionate che hanno intensificato il calore al calore delle parole.

Dischi come questo dovrebbero entrare negli studi degli psicologi e dei sociologi, nelle biblioteche delle scuole e a casa degli insegnanti per capire e cercare di colmare l'eterno gap tra classe docente e il mondo delle nuove generazioni dei nostri tempi incerti.

Voto 10/10 (con grande lode)

03/03/2014





        
  



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