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Quale legalità? Istruzioni per l'uso

| "Parlare di legalità è come pubblicizzare il rispetto degli altri".

di Patrizia Carosi

Mi capita spesso di intrattenermi con  ragazzi di tutte le età su un argomento semplice e "scivoloso"  come la legalità. E' infatti uno di quei argomenti che permette illimitati approcci, non certo privi dell'insidia della retorica, e si può  precipitare nei luoghi comuni legalità-uguale-polizia-uguale-repressione. Dopo un po' mi sono resa conto  che  con i giovanissimi, se si vuole  stimolare  qualche  germoglio di riflessione, si deve rispettare  un semplice promemoria:
- lasciare perdere le citazioni dotte o tecniche;
- non parlarsi addosso a lungo ma intavolare subito una conversazione a più voci;
- accettare le critiche personali e alle istituzioni senza personalizzare, ma trasformarle  in un'analisi pacata;
- ricordarsi che la critica feroce è stata da sempre lo sport più praticato dalle giovani generazioni, ma siamo sempre tutti sopravvissuti.

In fondo, parlare di legalità è come pubblicizzare il rispetto degli altri, mi ripeto e ripeto loro. E' come lasciar fuoriuscire dall'ambito familiare le regole che disciplinano il microcosmo della prima cellula sociale. Ma forse è proprio qui il tranello: nelle famiglie le regole sono sempre più rare, le tradizionali proibizioni assomigliano sempre più a suggerimenti o consigli per gli acquisti.  E aumentano i ragazzi che si disorientano, e diventano sempre più violenti, in famiglia, a scuola, allo stadio.

Ripenso ai colorati aneddoti dei bambini delle scuole elementari che incontriamo, che dopo aver fatto sorridere, lasciano un retrogusto amaro. Diceva uno: mio padre, quando attraversa con il rosso mi dice: "Guarda se c'è la Polizia". E un altro: "Mio padre dice che non si devono fare gli scontrini se no si pagano più tasse". Oppure: "Mio padre è furbo perché non paga le tasse".
I più grandi, quelli delle scuole superiori hanno perso questa ingenuità, e, per essere alla pari con il linguaggio degli adulti veri e propri, e probabilmente seguendo il triste esempio di questi, credono di non essere essi stessi credibili e convincenti se non sono aggressivi e trasgressivi.  Perché chi urla più forte, nel gruppo, si impone. Non è mai stato facile essere giovani fra i giovani.

Ma quando incontro i ragazzi, capisco anche quanto sia difficile essere adulti in mezzo ai giovani, e fare l'educatore: penso agli insegnanti, per esempio, che si barcamenano quotidianamente fra l'indifferenza e il loro rifiuto a dialogare.
Ma quante volte dietro agli slogan e alle critiche si nasconde la voglia di conoscere meglio l'argomento legalità? E' solo una questione di approccio giusto o è l'argomento che è poco attuale? Cosa è successo di diverso al ragazzo che tira sassi allo stadio con inaudita violenza, rispetto al suo coetaneo che sente il richiamo di una scuola militare, oppure al semplice coetaneo che pur non tirando sassi e facendo marce in un'accademia, trova disgustoso non rispettare le leggi? Se fosse solo un fatto di estrazione sociale ci dovremmo tutti rassegnare, e per fortuna non è così.

A sentire certi genitori, che sono pronti a tirarsi fuori, sono le cattive compagnie a rovinare i loro figli, ma ancora una volta, per fortuna, dissento decisamente. La mia esperienza professionale, e quella personale di ex-ragazzina terribile mi dice che non è mai una sola parte a sbagliare, e che grazie a Dio c'è sempre per tutti la possibilità di trovare  la strada. Ma ognuno deve fare la sua parte: le istituzioni, attraverso una corretta  informazione, la scuola e gli educatori con una sensibile vigilanza, la famiglia con la necessaria  attenzione, i giovani stessi, che si devono amare di più e tenere a loro stessi.

Siamo tutti chiamati, prima ancora che alla cultura della legalità, a far riscoprire ai giovani la cultura della vita, della solidarietà, della tolleranza. Chi è indifferente agli altri prima o poi diventa indifferente alle leggi, alle istituzioni, a sé stessi.
Se un giovanissimo sente un genitore dire che non c'è niente di male a farsi le canne, che idea potrà farsi del poliziotto o dell'educatore che gli dice che non è permesso dalla legge ed è pericoloso per la sua salute?
Se è il figlio minorenne che allo stadio trattiene il padre che ha perso la brocca, chi è che al momento opportuno tirerà via lui? E l'anziano che ride divertito quando il ragazzino insulta e tira le bottiglie ai poliziotti potrebbe essere lo stesso che poi chiama la polizia quando i teppisti lo molestano.

Non bisogna essere una "persona di legge", come si diceva una volta, per  capire cosa si deve o non si deve fare. Siamo chiamati tutti a insegnare e ad applicare  la legalità. Non ci si può e non si deve nascondere dietro il dito dell'opportunismo o peggio del "non mi compete".
 
Durante il corteo della pace di sabato 29 marzo, ho letto il messaggio scritto su un cartello davanti la casa di un coltivatore, lungo la strada.  Più o meno  diceva così: "Insegniamo ai nostri figli a non fare i furbi, a non  scavalcare gli altri, insegniamo loro l'onestà; è così che comincia la pace."

Credo con tutto il cuore che questa sia la più  bella lezione di legalità  cui mi sia capitato di assistere recentemente.   

01/04/2003





        
  



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