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Santini e manifesti sui muri? Al candidato non serve più il voto

San Benedetto del Tronto | I partiti hanno il potere di scegliere, più che i candidati, direttamente gli eletti e di blindare così il prossimo parlamento.

di Tonino Armata


Ricordate la famosa scena del film “Gli onorevoli”, quella in cui Totò grida al megafono “Vota Antonio, vota Antonio, vota Antonio!”? Ecco, oggi quella scena non potrebbe essere più girata: e non solo perché alle elezioni del 9 aprile non ci sarà in lista nessun Antonio La Trippa, ma semplicemente perché nessun candidato potrà chiedere voti per sé. Si vota per il partito, punto e basta (evviva la democrazia).

E’ una novità assoluti: dal 2 luglio 1946, quando gli italiani votarono per l’Assemblea Costituente, l’elettore ha sempre potuto scegliere il suo parlamentare, scrivendo un numero (o un nome) accanto al simbolo del partito. Fino al 1991, anno del referendum sulla preferenza unica, si potevano addirittura scegliere fino a quattro nomi, e dunque i candidati della stessa corrente organizzavano le “terne” o le “quaterne” (2 – 8 – 14, oppure 3 – 6 – 9 12 – 16 ) per aiutarsi tra loro e scambiarsi i voti di preferenza dei rispettivi clientes.

Poi arrivò il collegio uninominale, che metteva l’elettore di fronte alla scelta tra due nomi secchi (quello del Polo e quello dell’Ulivo), e creò un rapporto nuovo tra elettori ed eletti.

Adesso è come se qualcuno avesse passato la spugna sulla lavagna: tutto cancellato, addio preferenze, addio deputati di collegio, addio guerra dei nomi. Il 9 aprile, quando entreremo nella cabina, potremo solo mettere una croce sul simbolo del partito. Certo, fuori ci saranno come il solito le liste dei candidati, ma saranno liste bloccate, non sottoposte al voto degli elettori e dunque assolutamente immodificabili, chiuse, blindate. I partiti dunque, hanno il potere di scegliere, più che i candidati, direttamente i membri del prossimo Parlamento. Cm’è possibile? Semplice: se il partito X sa già che in una regione riuscirà a far eleggere da quattro a cinque deputati, indicherà nei primi cinque posti della lista i nomi sicuri. Quelli che verranno dopo, dal sesto in giù, saranno solo coreografici, candidati apparenti, donne e uomini senza una sola possibilità di essere eletti.

Ecco perché nella prima settimana di marzo nelle sedi dei partiti si sono combattute battaglie durissime – per i primi posti delle liste: chi l’ha spuntata torna in Parlamento, o ci arriverà per la prima volta, chi è stato inserito dietro sarà inevitabilmente tagliato fuori. Mai i segretari e i vertici dei partiti avevano avuto un potere così grande e così assoluto. Fino al 2001 potevano, piazzare un qualsiasi sconosciuto nel listino proporzionale e magari farlo eleggere, ma questo valeva solo per il 25% dei seggi, e solo alla Camera. Stavolta vale per il 100% dei deputati e dei senatori. Il primo visibile effetto di questa novità lo vedremo sui muri della città.

Niente manifesti dei candidati, per esempio: non servono a nulla, se gli elettori non possono scegliere l’uno o l’altro. Al loro posto tanti manifesti con i simboli di partito e le facce dei segretari, o dei capilista. Spesso le due figure coincideranno, dal momento che molti leader hanno deciso di guidare tutte, o quasi, le liste del loro partito. Non per fare il pieno di preferenze ma per aumentare l’effetto di trascinamento. E dopo il voto, quando il segretario eletto in venti regioni dovrà scegliere l’unica circoscrizione da rappresentare a Montecitorio (liberando 19 posti per non eletti), sarà ancora lui ha decidere chi entra e chi resta fuori. Gli unici che potrebbero lottare per portare più voti al proprio partito, sono i cosiddetti candidati di cerniera, quelli che corrono in circoscrizioni dove potrebbe scattare (difficilmente) un posto in più.

Toccherà dunque ai leader (e ai militanti veri) sgobbare e faticare, perché gli altri non avranno più l’interesse diretto, personale, a cercare voti. I candidati blindati sanno che saranno eletti in ogni caso, gli altri sanno che (comunque vada) non saranno eletti. Addio dunque ai santini con le facce dell’onorevole Pietropaolo o del cavalier Nicola, agli spot grotteschi dei Pinco Pallino sulle Tv private, alle lettere amichevoli di sconosciuti esordienti con biografia allegata, agli aerei da turismo che trascinano nel cielo lo striscione: “Vota Bernarda”, alle cene elettorali per dare una mano all’amico candidato. In teoria, dovrebbe sparire anche il voto di scambio, la versione moderna delle mitiche campagne del cavalier Lauro, il quale regalava un paio di scarpe a chi lo votava: la scarpa destra prima del voto, quella sinistra dopo. In teoria: perché si sa, in politica le virtù cambiano, ma i vizi sopravvivono a qualunque riforma.

P.S. Il giudizio scientifico più appropriato l’ha dato D’Alema: “Questa legge elettorale è veramente uno schifo”. E purtroppo ogni giorno viene a galla una nuova conferma. L’ultima è il collocamento di fratelli, sorelle, mogli e perfino cognate dei leader nelle liste per il Senato. Che sono bloccate e blindate: un posto in queste liste equivale ad un seggio in Parlamento, giacché noi elettori non potremo dare nessuna preferenza.

Il fenomeno è trasversale ed endemico. Ma, siamo sinceri, la sinistra non ci fa una bella figura: in questa tornata (speriamo la prima e l’ultima), in cui i segretari hanno il potere assoluto di decidere chi fa il parlamentare, i leader che hanno dovuto dire tanti “no” a uscenti e aspiranti avrebbero dovuto avere la sensibilità politica di o almeno il buon gusto di escludere dalle liste congiunti, parenti, consanguinei e affini. Così invece si entra in Parlamento dalla porta sbagliata, quella con l’insegna dettata da Leo Longanesi: “Tengo famiglia”

04/04/2006





        
  



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