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Ventuno e trentasette

Ascoli Piceno | Riflessioni e pensieri su Giovanni Paolo II il Grande

di Federica Poli

 

 
Ho trentadue anni. Ne avevo appena sei quando Karol Woityla diventava Papa Giovanni Paolo II.
Sei anni. Età scolare. Età in cui si iniziano a muovere i primi piccoli passi verso la vita sociale. Primi giorni a scuola. Si comincia a scrivere e leggere. I compiti a casa ti creano responsabilità e comprendi quando è il tempo di giocare e quando devi essere concentrata sulla vita reale.

Ecco, il mio Papa da lì mi ha preso per mano ho sentito il calore nel palmo della mia ossuta e scarna manina. D’altronde, prima avevo avuto solo carezze dalla vita e, forse, non avevo gli strumenti per rendermi conto di cosa fosse davvero.

È il mio Papa, penso che sarà l’unico Papa possibile per me. Si è avvicinato ai giovani col sorriso sornione con lo sguardo dolce e severo. Con il cuore aperto a Cristo e a chiunque fosse bisognoso. Il Papa malato? Si, tante di quelle volte lo abbiamo visto sofferente ma, mai, ci ha sfiorato il pensiero che potesse stare male.

Il Papa è il Papa. Il mio Karol non può soffrire così.
Ricordo, perché i ricordi ti aiutano a far vivere le persone dentro di te in eterno, che gli fui vicina (fisicamente intendo) per due giornate della gioventù a Roma. Forse, ero ancora troppo giovane per comprendere la forza di quel momento. Ma gli volevo bene come tutti cristiani cattolici e non.
Penso che non ci sia nessuno che dalle 21.37 e trenta secondi del due aprile duemilacinque non abbia sentito una stretta al cuore e un senso di vuoto. Ho pianto, miliardi di lacrime hanno inondato il mondo stanotte. Una notte lunga di riflessione. e pensare che ieri mattina appena sveglia ho acceso la tv e ho visto che il Papa il mio Papa c’era ancora, non ci lasciava. Continuava il suo mandato.

“condizioni gravissime” ma io non ci credevo, no il mio Papa non può stare male, gravissimo poi! Ma cosa dite! Alle 21.37 la notizia. Il Paradiso si apre per lui. Se ne va da questa vita terrena e comincia il suo cammino là dove il prato è più verde e dove il cielo è più blu.

Una volta mi chiesero “Quale personaggio del passato e del presente ti piacerebbe davvero conoscere?” “il Papa” risposi non con la bocca non con la testa ma con il cuore. Quella sera pensai davvero tanto a quella risposta. Cosa mi avrebbe detto? E, soprattutto, cosa avrei detto io al Papa? La mia schiettezza, la mia esuberanza, sicuramente non mi avrebbero fermato dall’essere me stessa. Lo sarei stata anche davanti a quell’omone che, seppur accorciato dagli anni e piegato dalla malattia mi avrebbe messo a mio agio, perché il Papa il mio Papa non poteva crearmi imbarazzo. Non lui!

Quest’incontro tanto sognato. Questo desiderio ormai irrealizzabile è il cruccio che mi porterò dentro. Penso ai miei figli, quando ne avrò, e penso a come parlerò loro di papa Giovanni Paolo II, forse, come parlano a me di Giovanni XXIII. Il Papa buono. Ma io non l’ho conosciuto come i miei figli non conosceranno il mio Papa. Loro avranno il loro. Ed io custodirò nel mio cuore il ricordo di quell’uomo vestito di bianco con la faccia tonda che amava viaggiare ed il cui coraggio ha piegato anche le menti più riluttanti, il cui sorriso ha portato la pace nei cuori affranti e negli animi sofferenti.

Era lui, il mio Papa, quello che dall’età della ragione mi ha preso per mano e per ventisei anni da bambina mi ha aiutato a diventare la donna che sono oggi. Da lontano lo portavo nel cuore e sapevo che c’era. 21.37 del 2 aprile duemila cinque mi son sentita un po’ più sola. Abbandonata nel mio cammino religioso. Perché era comunque un punto fermo nella mia instabile fede. Forse era la mia fede.

Sono affranta, svuotata, impaurita e addolorata. Ma la sua forza, anche nella sofferenza, mi ha insegnato tanto e sento, ancora oggi, la sua mano nella mia. Quel calore nel palmo della ossuta e scarna manina di una bimba di sei anni che si affaccia alla vita non scomparirà mai. Addio Karol.    

07/04/2005





        
  



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