La febbre dei Black Keys
San Benedetto del Tronto | The Black Keys "Turn blue"
di
The Black Keys
"Turn blue"
Akron, Ohio è la città industriale della gomma che ha fatto nascere le contorsioni electropunk dei Devo, le immagini dei film di Jim Jarmush e le visioni in fuga di un talentuoso autore visionario come Joseph Arthur ma ha lasciato spazio ad un altro interessante gruppo come quello dei Black Keys (il duo Dan Auerbach e Patrick Carney la cui figura fisica rimanda proprio agli anni Ottanta dei Devo) un'eccellente formazione di rock contemporaneo che ha saputo raccogliere in pochi anni l'eredità dei grandi angloamericani mescolando generi diversi come il blues, l'hip hop, il noise rock, il garage rock e una certa psichedelia di Pinkfloydiana memoria.
Otto bei dischi in una dozzina d'anni tra cui spicca "El Camino" vincitore del Grammy Award come miglior album rock del 2012. Fiore all'occhiello dell'etichetta Nonesuch che molto raramente ospita artisti del genere, il duo ha appena pubblicato "Turn blue" che rappresenta un vero e proprio giro di boa nel loro stile musicale. E' un titolo emblematico che nulla a che vedere col blues classico bensì riesce a cogliere una dimensione più pacata e intimista del loro essere musicisti. Sarebbe molto curioso sapere come i due Black Keys possano essere arrivati ad aprire "Turn blue" con il brano "The weight of love" fatto di note e atmosfere di Nico Fidenco per uno sconosciuto film come "La ragazzina", un erotico b-movie italiano firmato da Mario Imperoli nel 1974. La lunga versione proietta tutto il disco in una sorta di distorsione del passato fatto di chitarre elettriche, suoni di organi Farfisa (come nel singolo già di successo radiofonico come "Fever" che ha una seconda parte davvero trascinante) e falsetti à la Smokey Robinson ma anche di un'introversione che avvicina Auerbach, il cantante, al collega Chris Martin dei Coldplay.
Vicende personali, separazione e divorzio che si riflettono tra le pieghe di tutto il disco, canzone dopo canzone da "In time" a "Turn blue", da "Bullet in the brain" a "Gotta get away". Tutto il disco è prodotto con intelligente coerenza di stile dal bravo Danger Mouse, al secolo Brian Burton, che ha lavorato a strettissimo contatto con i due Black Keys. Palpabili sono i riferimenti al soul degli anni Sessanta, ai fraseggi nervosi di Sly and the Family Stone, alle citazioni dei Pink Floyd e alle visioni musicali dei western messi in musica da Ennio Morricone che si perdono tutte nel brano di chiusura che riporta indietro tutto all'improvviso come se "Turn blue" fosse solo un episodio che preluda ad un altro cambiamento per il prossimo disco.
Voto 7/10
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15/05/2014
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