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Il design italiano secondo Gillo Dorfles, si aprono le conferenze della Biennale.

Ascoli Piceno | Si è svolto stamattina l'incontro con il critico e professore d'estetica. Ne è risultata una lucida analisi della situazione del disegno industriale nostrano. Ancora uno dei migliori al mondo, ma insidiato dall'edonismo.

di Ugo Mancini

Il Prof. Vanni Pasca e Gillo Dorfles in una sosta al Meletti

Professore di Estetica presso le Università di Milano e Trieste, tra i fondatori, nel 1948, del MAC (Movimento Arte Concreta) e, dodici anni dopo, protagonista nella creazione dell'ADI (Associazione per il disegno industriale), nessuno meglio di Gillo Dorfles poteva aprire il ciclo di conferenze integrate al programma di questa edizione 0 della Biennale del Design.

Nella piena vitalità dei suoi cento anni appena compiuti il Prof. Dorfles è arrivato stamattina ad Ascoli dove ha tenuto una conferenza-incontro presso Palazzo dei Capitani, dispensando una visione lucida e razionale della situazione del design contemporaneo accompagnata dall'imprescindibile vena ironica delle sue risposte taglienti e lapidarie.

Ironia e razionalità di cui Dorfles ha subito dato prova al numeroso pubblico presente e al Prof Vanni Pasca, rimbrottato amorevolmente sul dilungarsi delle presentazioni. "Gillo Dorfles - ha spiegato il Prof. Pasca - è uno dei capisaldi della critica italiana perché è sempre stato attento al divenire del mondo. Ha saputo delineare l'evoluzione del gusto negli anni considerando qualsiasi forma d'arte, anche quelle reputate minori."

"Passiamo ai fatti concreti!" ha puntualizzato Dorfles "parliamo di design". E di design si è conversato per tutto l'incontro in cui il Professore ha risposto alle domande dei presenti con grande disponibilità.

Dorlfes ha ripercorso il periodo tra gli anni '50 e '60, in cui non si sapeva ancora bene cosa fosse il design: "Gli stessi industriali non capivano neanche la parola e la pronunciavano male, design, così come si scrive. Oggi, invece, c'è una certa coscienza del disegno industriale. Anche la piccola borghesia si è resa conto che un arredamento deve rispettare il miglior tipo di progettazione. Ormai c'è uno stretto rapporto tra industria e design, tutte le aziende si rivolgono a dei bravi progettisti."

È seguita un'analisi della situazione del design italiano che secondo Gillo Dorfles rimane ancora uno dei migliori al mondo: " La stagione dei grandi maestri degli anni '60-'70 si è ormai conclusa e manca la purezza della linea progettuale di quell'epoca. Tuttavia l'Italia ha più fantasia rispetto alla Germania o all'Inghilterra e questa inventiva rende lo stile italiano uno dei migliori. Gli Spagnoli, estrosi quasi come noi, vengono in Italia per trovare un ambiente più aperto e creativo."

Ma non mancano le insidie dietro l'angolo, quella più comune è il pericolo di cadere in quello che Dorfles definisce "styling": " design, certo, non vuol dire solo progettualità, ma anche creare degli oggetti esteticamente gradevoli. Ma quando ciò diventa puro edonismo e la forma si scolla completamente dalla funzionalità si precipita nello styling".

Anche l'uso dell'informatica, che crea una dimensione di lavoro immateriale, potrebbe rappresentare un'arma a doppio taglio in questo senso: "il computer sicuramente, col rendering architettonico, amplia le possibilità del designer. Ma ciò può anche portare ad una progettazione completamente svincolata dalla geometria e tendente ad un antirazionalismo ed espressionismo che non rispecchiano una reale visione del mondo. In poche parole puro edonismo. Inoltre è sempre fondamentale che il designer abbia una conoscenza tattile dei materiali che usa."

Altra insidia per il design è rappresentata dalla globalizzazione del gusto: "si tende alla scomparsa delle diversità locali ed è un peccato, perchè alcune caratteristiche regionali o nazionali tipiche vanno perdendosi. In alcuni casi possono ancora essere mantenute solo nell'artigianato e non nel design. Anche l'artigianato va tenuto in massima considerazione, infatti non si può parlare più di arti minori, sono tutte allo stesso livello."

Non è mancata anche una delucidazione sul percorso formativo che oggi intraprendono i giovani designer: "Io credo che per la formazione di un designer può essere anche sufficiente una scuola di tre anni. Ma se si considera che il design è parte integrante dell'Architettura sicuramente è migliore un percorso più specifico ed impegnativo come quello offerto da un Politecnico". E sulla situazione generale dell'Università italiana? "La preparazione degli studenti è più scarsa - afferma Dorfles - oggi manca un vero e proprio insegnamento di base, una preparazione letteraria, la conoscenza dei libri."

Infine, a chi gli chiede un'opinione sui concetti di "sostenibilità" ed "ecodesign", Gillo Dorfles non può fare a meno di ostentare la proverbiale schiettezza del suo carattere: "sono espressioni deleterie come 'un attimino' o 'decisamente sì'. Spero tanto che scompaiano presto!"

07/05/2010





        
  



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