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Meritocrazia nella scuola : no grazie, se in nome del “merito” si innalzano muri

San Benedetto del Tronto | Succede in un istituto scolastico della provincia: un’ insegnante stabilisce di isolare in un settore di banchi separato dagli altri, il gruppo di studenti reputati più meritevoli e preparati sul solo presupposto della scuola di provenienza.

di Maria Teresa Rosini

Succede in un istituto scolastico della provincia: un' insegnante stabilisce
(forse consigliata da un gruppo di zelanti genitori) di isolare in un settore di banchi separato dagli altri, il gruppo di studenti reputati più meritevoli e preparati sul solo presupposto della scuola di provenienza.

Fuori gli "altri", un colorito ed eterogeneo gruppo di alunni provenienti dalle "altre" scuole arricchito dalla presenza di studenti di diverse origini culturali e linguistiche: ripetenti, ma anche ragazzi impegnati e motivati. Non si tratta di un episodio isolato: chi possiede esperienza di scuola si sarà trovato più volte di fronte a fatti analoghi anche se non così espliciti.


Essi testimoniano di una concezione dell'istruzione e dell'educazione e del ruolo che esse dovrebbero svolgere nella società, basati sul "merito".
Il concetto di merito però non è un concetto assoluto soprattutto se valutato in ambito scolastico, e, particolarmente, nell'ambito della scuola dell'obbligo.
Inoltre come si coniuga il concetto di merito con il fatto incontestabile che vi sono all'interno della società profonde differenze culturali, sociali e linguistiche delle quali sono portatori i soggetti che affrontano il percorso scolastico?
In sostanza varrebbe la pena di chiedersi chi sono gli individui meritevoli che la scuola dovrebbe valorizzare. Quali gli indicatori di merito da prendere in considerazione?

E quale dovrebbe essere il ruolo degli "altri"?
Si è meritevoli per le capacità, per la facilità con cui si accede agli strumenti culturali di rielaborazione della conoscenza, per la preparazione che la famiglia, consapevolmente o meno, fornisce prima dell'ingresso a scuola? Per l'attitudine ad impossessarsi di un metodo e a rispettare le regole stabilite della convivenza sociale? Per la capacità di condurre un impegno consistente e motivato?
E' ormai patrimonio comune la consapevolezza che esistono molti modi di apprendere e molteplici forme di intelligenza attraverso le quali le conoscenze possono essere veicolate.

La scuola italiana oggi è ancora prevalentemente fondata su un apprendimento logico-linguistico e teorico che sfrutta una modalità standard di approccio ai contenuti di studio e che privilegia i soggetti in possesso di tali capacità di base o coloro che facilmente riescono ad accedervi.

Ma la complessità del mondo, il progresso tecnologico, la multiculturalità sociale e linguistica, l'accesso rapido e indiscriminato alle informazioni, rendono questo tipo di scuola e di apprendimento inadeguati rispetto alla realtà, provocando un sempre più vistoso scollamento tra scuola e società testimoniato dalla crisi e dall'emergenza educativa di cui tutti siamo testimoni.

Si potrebbe obiettare che la scuola, o meglio una parte di essa, ha attraversato numerosi processi di riforma e di ripensamento di contenuti, metodi e organizzazione, ma c'è da riconoscere che essi non hanno sempre trovato una interiorizzazione profonda in coloro che della scuola sono gli attori principali, cioè gli insegnanti, e che a volte si sono risolti in una realizzazione solo formale di nuove pratiche.

Gli insegnanti sono stati lasciati un po' "allo sbaraglio" di fronte a nuovi modi di agire e concepire il processo di insegnamento/apprendimento che prevedevano un profondo rinnovamento nel modo di porsi e comunicare con gli alunni, nel modo di valutare il rendimento scolastico, nel modo di intendere un percorso disciplinare.
Inoltre il raccordo di metodologie, contenuti, organizzazione e strategie didattiche, la cosiddetta continuità, tra i diversi segmenti del percorso scolastico non si è mai veramente e stabilmente realizzata: gli insegnanti dei vari ordini di scuola, di fronte all'insuccesso dei propri alunni, non fanno altro che rimbalzarsi le responsabilità, prigionieri di un modo di intendere la scuola reputato reciprocamente troppo lassista e permissivo (dai docenti delle scuole secondarie) o troppo rigido e stereotipato (da quelli della scuola primaria). E gli alunni precipitano da un contesto all'altro impreparati e disorientati, sottoposti a giudizi di valore e merito in una fase della vita delicata e spesso determinante per il loro futuro.

La scuola non può ancora fondarsi su una concezione di merito basata sulla capacità dello studente di adeguarsi a un sistema prestabilito e rigido di spiegazione verbale, interrogazione o compito scritto e valutazione numerica (oltretutto non sempre limpida e imparziale)e non si può lasciare al caso o alla particolare predisposizione e flessibilità degli studenti e delle famiglie la possibilità di trovare la strada verso una soddisfacente realizzazione del percorso di formazione.
Gli "altri", coloro che cui capacità, attitudini, talenti restano inesplorati e inespressi sono un patrimonio disperso: ma la scuola non è una fabbrica nella cui catena di montaggio i pezzi reputati difettosi o inadeguati possono essere scartati senza curarsi del loro destino.

In quel destino di abbandono, svalutazione, mancata realizzazione oggi va buttato via un patrimonio consistente del paese che, in quest'epoca di "povertà" culturale, oltre che economica, significa gettare un'ipoteca di fallimento sul futuro della nostra società.

08/05/2008





        
  



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