Sognare di scrivere: sogno o incubo?
San Benedetto del Tronto | Nell’interessante conversazione con i giornalisti e scrittori Mario Baudino, Paolo Bianchi e Massimo Birattari sono emersi molti degli aspetti che oggi connotano l’universo dei complicati e contraddittori rapporti tra scrittura e lettura nel nostro paese.
di Maria Teresa Rosini
Birattari, Bianchi, Baudino
All'appuntamento di mercoledì pomeriggio presso la galleria Calabresi, nell'interessante conversazione con i giornalisti e scrittori Mario Baudino, Paolo Bianchi e Massimo Birattari , ospiti della terza edizione del Festival letterario Piceno d'autore, sono emersi molti degli aspetti che oggi connotano l'universo dei complicati e contraddittori rapporti tra scrittura e lettura nel nostro paese.
In modo esplicito o indirettamente gli interventi degli autori hanno investito problemi, motivazioni e punti di vista di editori, di scrittori in cerca di editori, di curatori editoriali e anche di librai, alle prese con le vendite (o le mancate vendite) di un prodotto non assimilabile, nonostante i tentativi, alle altre categorie commerciali.
E' stato, però, il semisommerso mondo degli aspiranti scrittori, eterogenea categoria in costante crescita in Italia nonostante le sempre più esigue possibilità di pubblicazione, quello fatto oggetto di maggiore attenzione dagli intervenuti.
Si è parlato quindi delle ambizioni, e relative umiliazioni, degli aspiranti alla pubblicazione, delle beffe e delle contraddizioni del mercato editoriale, di immeritati successi e inspiegabili fallimenti, insomma delle questioni che ruotano intorno al concetto di "qualità" della scrittura e del suo discernimento, convitato di pietra di una discussione che avrebbe richiesto ben altri tempi e ben altro pubblico.
A cominciare dalle osservazioni di Mario Baudino, (Ne uccide più la penna. Storia di crimini, librai e detective, 2011 Rizzoli) che individua nella scrittura creativa "un modo per inseguire la realtà senza prenderla mai", "ciò che di più innaturale esista" e, addirittura, "una disperazione", prima che "una grande gioia", di individui fondamentalmente e sicuramente "narcisisti", ci sembra di cogliere un elegante ma determinato tentativo di dissuasione condotto da parte di chi della scrittura ha fatto oggetto del suo impegno esistenziale oltre che professionale.
"Non scrivete per carità", sembrano gridarci le pacate parole dell'ospite, o, se proprio dovete farlo, non pensate alla pubblicazione come all'esercizio di un diritto naturale.
Nulla ci convince di più della opportunità del suo consiglio dell'intervento di Paolo Bianchi cui è sufficiente leggerci, dalle pagine del suo Inchiostro antipatico (Bietti - 2012), la lettera di un' aspirante poetessa completamente sprovvista del senso della realtà, nonché di quello degli aggettivi, e un surreale dialogo svoltosi su facebook tra lui stesso e tale Marcello, convinto sostenitore dell'autopubblicazione, oltre che dell'autovalutazione, e talmente pieno di sé da non riuscire evidentemente a contenere altro.
E' al povero Massimo Birattari, (E' più facile scrivere bene che scrivere male. Corso di sopravvivenza, Ponte delle grazie, 2012) autore di un manuale di scrittura rigorosamente "non creativa" destinato a chi debba scrivere in modo sintetico e comprensibile per lavoro, che tocca lo sgradevole compito di spogliarci dell'ultimo brandello di illusione: perfino coloro da cui si richiederebbero semplicità e chiarezza di linguaggio nello scrivere testi al servizio di utenti di vario genere, sono restii ad abbandonare la ridondanza e la sadica perversione linguistica del linguaggio burocratico e, infondo, vorrebbero sentirsi un po' "scrittori" pure nell'elaborare i testi della modulistica bancaria, delle postille contrattuali o delle "istruzioni per l'uso"
Tra il pubblico sono presenti aspiranti scrittori che non possono e non vogliono far mancare il loro punto di vista: "e allora perché si pubblicano i libri di calciatori, soubrette e soubrettine, intrattenitrici televisive, attrici ?" Perché loro sì e noi no?
Vallo a spiegare, e ci provano i tre ospiti, che quei libri si stampano perché in un paese in cui non si legge, e quindi non si vende quasi nulla a gran parte della gente, vendere le barzellette o l'autobiografia di un calciatore a una folla di tifosi può essere remunerativo e che si tratta, qualche volta, di libri persino "dignitosi" che curatori editoriali servizievoli hanno scritto per interposta persona.
Ci lasciamo con molte domande inevase, complice il tempo ormai "esaurito" e l'assoluta consapevolezza che non saremo certo noi, stasera, a trovare risposte:
a cosa e a chi serve la scrittura? Chi ha il compito professionale di valutarla? Da quali fattori l'adempimento di questo compito viene condizionato?
I lettori e gli aspiranti scrittori sono in possesso delle consapevolezze culturali indispensabili per scegliere e della necessaria modestia per lasciarsi valutare? E' proprio indispensabile essere pubblicati per trovare nella scrittura "una gioia"? Si può essere scrittori o aspiranti tali senza essere stati prima dei buoni lettori? Siamo forse un popolo in cui prevalgono scrittori narcisisti rigorosamente non-lettori?
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18/06/2012
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